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podcast

Le Figlie della Repubblica - Stagione 2

#Episodio 4

Rosa Giolitti racconta il padre Antonio

SINOSSI

Rosa Giolitti racconta il padre Antonio nelle sue molte sfaccettature. Dalla scelta di andare controcorrente, aderendo al Partito Comunista pur appartenendo alla famiglia italiana liberale per eccellenza fino all’impegno nel cuore delle istituzioni europee.
Una vita da protagonista della sinistra italiana del secondo dopoguerra, vissuta con il coraggio delle proprie idee. Un coraggio che pagò a caro prezzo e che gli altri – tra cui il presidente emerito Napolitano – gli riconobbero solo a distanza di decenni.


BIOGRAFIA

Antonio Giolitti (Roma, 12 febbraio 1915 – Roma, 8 febbraio 2010) – uomo politico, ministro, commissario europeo

Proveniente da un contesto familiare borghese di profonda cultura liberale e attitudini risorgimentali – il nonno era Giovanni Giolitti – che gli consentirà di formarsi fuori dagli schemi della propaganda e dalla retorica del fascismo, Giolitti nutrirà fin da giovanissimo la passione per lo studio e la filosofia del diritto. Si laureò in Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma nel 1937 avviando i primi contatti con gli ambienti clandestini del comunismo italiano, inteso quale unica forza in grado di opporsi concretamente a fascismo e nazismo.

Nei primi anni di guerra, lavorò presso il Ministero dell’Educazione nazionale fino all’arresto, nell’ottobre 1942, per attività eversiva. Rilasciato, riprese la sua attività intellettuale, approfondendo lo studio del pensiero marxista e dando avvio alla militanza nel Partito comunista italiano. A seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, prese attivamente parte alla Resistenza collaborando alla costituzione della brigata partigiana “Garibaldi” e rimanendo ferito in azioni di guerriglia. Con la liberazione, fu eletto all’Assemblea costituente nel giugno 1946 e deputato nell’aprile 1948 per il Pci.

Nel secondo dopoguerra si consolidò anche la collaborazione con la casa editrice Einaudi, per cui seguì la pubblicazione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, aprendosi alla letteratura economica americana del New deal e alla teoria economica di John Maynard Keynes, cosa che contribuirà ad allargare i suoi orizzonti. Se infatti nel 1948 si era opposto al piano Marshall, seguendo la linea del partito, due anni più tardi seguì da vicino la preparazione del piano del lavoro elaborato dalla Cgil di Giuseppe Di Vittorio, i cui contenuti furono duramente criticati da Togliatti.

Dopo la denuncia da parte di Chruščëv dei crimini di Stalin e in polemica con la repressione sovietica della rivoluzione ungherese, avvenuta nell’autunno del 1956, Giolitti sancì infine la sua rottura con il Pci e l’approdo al Partito Socialista Italiano (Psi). L’avvio de centro-sinistra lo vide così tra le personalità socialiste impegnate nel primo governo Moro (1963-64), promotore della programmazione economica e delle cosiddette “riforme di struttura” – ad esempio la nazionalizzazione dell’energia elettrica – insieme al socialista Riccardo Lombardi e al repubblicano Ugo La Malfa. Questa prima esperienza di governo si concluse rapidamente quando il declino della crescita economica e i timori della Dc per gli eccessi riformistici socialisti condussero alla sua sconfitta e all’allontanamento dall’esecutivo.

Nella prima metà degli anni Settanta, Giolitti tornò a ricoprire la carica di ministro del Bilancio (1970-72 e 1973-74) in una fase di grandi difficoltà per il paese, caratterizzata dall’instabilità economica e dal conflitto sociale, che lo condusse a un aspro confronto con il governatore della Banca d’Italia Guido Carli ma soprattutto con lo stesso La Malfa per la scelta delle politiche necessarie a stabilizzare il paese.

Il percorso politico di Giolitti nella seconda metà degli anni Settanta è caratterizzato dalla battaglia, all’interno del Psi, a favore della cosiddetta “alternativa di sinistra”, in opposizione alla dinamica consociativa avviata con la stagione della solidarietà nazionale guidata da Moro e da Berlinguer.

Nel maggio del 1977 il governo italiano lo indicò come membro della Commissione europea, dove fino al 1984 ricoprì l’incarico di commissario alla politica regionale. A Bruxelles, Giolitti prese progressivamente le distanze dalla scena politica italiana e dal Psi, manifestando la posizione sempre più scopertamente contraria all’azione di Craxi, criticandone la politica di alleanza irreversibile con la Dc.

Alle elezioni politiche del giugno 1987 Giolitti fu eletto Senatore come indipendente nelle liste del PCI, battendosi per un rinnovamento della sinistra e un suo approdo ‘socialdemocratico’. Vi sono anche dibattiti e scritti di cui il contributo più compiuto si trova in Lettere a Marta, pubblicate a Bologna dalla casa editrice il Mulino nel 1992.


TRASCRIZIONE PODCAST

Ecco nella mia memoria c’è più la storia, il suo arrivo in bicicletta nella casa di Cavour occupata dai nazisti della Wehrmacht che stavano lì in casa e il contadino che lo ferma e gli dice “Ma dove sta andando?” “sto andando a trovare mia moglie” che era in quella casa. “Torni indietro perché ci sono i nazisti” e lui che se ne torna indietro mentre mia madre era costretta a convivere con questo gruppo della Wehrmacht che aveva sequestrato la casa. E i timbri della Wehrmacht sulle carte da parati della villa io li ho visti fino all’ultima ristrutturazione della casa diciamo una trentina-quarantina di anni fa, c’erano ancora i timbri sulle pareti degli ufficiali della Wehrmacht che avevano occupato le stanze della villa.

Le figlie della Repubblica è il podcast della Fondazione De Gasperi realizzato in collaborazione con il Corriere della Sera con il contributo di fondazione Cariplo e il sostegno di Poste Italiane. Un racconto molto speciale delle grandi figure che hanno costruito la nostra Repubblica in una serie di ritratti intimi e familiari attraverso gli occhi e le memorie delle loro figlie. Sono Alessandro Banfi e in questa puntata raccontiamo Antonio Giolitti attraverso i ricordi di sua figlia Rosa, classe 1950. Giolitti è stato partigiano, politico, intellettuale, ministro e commissario europeo. Un uomo guidato da una lealtà intellettuale che lo porta a scelte di rottura, prima con la propria famiglia liberale scegliendo il Partito Comunista poi rompendo con il PC quando l’Unione Sovietica invase l’Ungheria e infine con il Partito Socialista quando non approvò il metodo di Craxi e l’alleanza con la DC. Nasce a Roma nel 1915 in una famiglia liberale e borghese. Suo padre Giuseppe è figlio dello statista Giovanni Giolitti e la madre Maria Tami è figlia del senatore e magistrato Antonio Tami. Il contesto della famiglia è decisivo nella sua formazione che lo tiene lontano dalla propaganda e dal sistema educativo fascista. Si laurea in diritto civile nel 1937 alla Sapienza di Roma incontrando intellettuali ed opere che lo avvicinano al materialismo storico e al pensiero marxista. Nel 1939 sposa a Torino Elena D’Amico e vive l’ambiente culturale torinese frequentando Bobbio, Del Noce, Pavese ed Einaudi. Intanto lavora nella fabbrica di lime dello zio Federico, chimico di valore con il quale litiga spesso perché fervente ammiratore della Germania nazista. Decide allora di tornare a Roma dove frequenta “giustizia e libertà” e i giovani comunisti convincendosi che solo il comunismo può opporsi al fascismo e al nazismo.

La sua formazione io credo che sia stata più familiare e poi di relazioni amicali, lavoro e di politica più che la formazione classica scolastica e universitaria dove diceva di non aver trovato un vero maestro o dei veri maestri. Il clima familiare con un padre di quella fatta lo ha indirizzato più sul piano del metodo di comportamenti di scelte che di opinioni politiche in senso stretto. La figura di questo grande nonno è stata sicuramente importante da due punti di vista: uno l’importanza della politica, dell’impegno civile; secondo il rigore, la coerenza, l’onestà intellettuale il senso del servizio nella casa che era stata la casa di residenza estiva di Giovanni Giolitti conteneva, trasudava la presenza del bisnonno in ogni stanza, dalle fotografie agli oggetti, e questa presenza io percepivo che era vissuta da mio padre con molto al tempo stesso rispetto e amore e condivisione.

Con lo scoppio della guerra giuridico collabora con la casa editrice Einaudi e lavora presso il Ministero dell’educazione Nazionale. Ma viene arrestato nell’ottobre del ‘42 con l’accusa di attività eversiva. Rilasciato nel febbraio del ’43 riprende l’attività intellettuale abbracciando il pensiero marxista ed entrando nel Partito Comunista Italiano. Con l’armistizio dell’8 Settembre ’43 Giolitti partecipa alla resistenza entrando nella Brigata partigiana comunista Garibaldi che opera nelle valli piemontesi ma quasi subito rimane gravemente ferito.

Come lui stesso dice, non fu combattimento ma fu una disavventura, durante uno spostamento in corso di operazioni militari lui e guidatore motocicletta su cui viaggiavano precipitarono, caddero rovinosamente e si ferirono e quindi siccome erano piuttosto vicini al confine con la Francia e siccome tornare indietro verso l’Italia sarebbe stato pericolosissimo perché c’erano i fascisti e nazisti in campo, con la barella li trasportarono a piedi scollinando sul confine della Francia. Furono ricoverati lui il suo amico Lebain in ospedale dove ci fu una lunghissima degenza perché medici e ortopedici francesi sbagliarono molte volte l’intervento per rimettergli a posto la gamba per cui smontarono e rimontarono questa povera gamba più volte, ed è in questo periodo tra l’ottobre del ’44 il maggio del ‘45 che lui scrive il diario in cui racconta la sua storia di lotta partigiana in Italia. E poi racconta molto delle sue letture e lì ci sono le descrizioni di personaggi che io ben conoscevo della guerra partigiana che sono rimasti gli amici più cari di mio padre che lui descrive con dei ritratti straordinariamente lucidi e luminosi in questa in questo piccolo diario in cui oltre a ripercorrere storie più importanti della guerra partigiana poi si occupa molto di raccontare le sue letture, sia di tipo letterario che non, che riesce a fare durante questa degenza in ospedale. 

In questo diario Giolitti scrive che per costruire la pace occorre anzitutto rieducare gli uomini, in gran parte abbrutiti dalla guerra, alla responsabilità e alla dignità della condizione umana. È con questa prospettiva che comincia la sua attività di parlamentare comunista: viene prima eletto all’assemblea Costituente nel giugno ‘46 e poi rieletto in Parlamento nell’aprile del ‘48. Periodo molto intenso che però vive con un forte senso di inadeguatezza.

Questa fase qui è meno impressa nella mia memoria, il mio ricordo la mia sensazione è una sensazione di, come dire, che facesse esercizio di understatement è dire poco. Non è mai stata una persona che si è messa in mostra, ha sempre piuttosto sottolineato con le sue inadeguatezze, in fondo lui è stato sottosegretario agli esteri di De Gasperi. Era giovanissimo e quello che io ricordo era il suo senso come di inadeguatezza rispetto a trovarsi in una realtà in un certo senso più grande di lui. Dopodiché invece era sicuramente una persona competente e molto decisa, in cui questa scelta di campo dell’essere comunista può apparire come una scelta bizzarra in un uomo che sicuramente non era ideologico, che sicuramente non aveva nessun tipo di fanatismo, quindi da questo punto di vista la sua scelta comunista è stata una scelta delle opportunità migliori per ottenere dei risultati a vantaggio delle classi lavoratrici. Non è mai stato un comunismo di adesione piatta al mondo sovietico.

Facciamo un piccolo salto in avanti nel ‘56 quando l’Unione Sovietica invade l’Ungheria. Un momento cruciale che illumina molto bene che tipo di uomo fosse Giolitti. Nonostante la sua posizione, nonostante tutte le sue amicizie siano nel partito comunista, non esita a rompere con l’ortodossia del partito. Eppure molte delle amicizie nate nella lotta della resistenza e poi nell’attività politica, rimasero nel tempo assieme alle divergenze.

Quegli stessi amici Partigiani che all’epoca militavano con lui nelle Brigate Garibaldi hanno poi fatto nel corso degli anni un po’ lo stesso percorso politico abbandonando poi il Partito Comunista e questo filo delle amicizie nate durante l’esperienza partigiana è stato un filo robusto che ha tenuto ferme questi amicizie che fossero o che non fossero in sintonia perfetta con le scelte politiche di mio padre. Ludovico Geymonat che è sempre stato comunista ed è stato anche oltre i fatti d’Ungheria che hanno invece determinato l’abbandono da parte di mio padre del partito comunista. Colaianni il comandante Barbato però quelle amicizie sono state amicizie durature anche oltre la rottura che ha visto mio padre abbandonare il partito comunista nel ‘56 perché erano amicizie costruite sulla base di un’esperienza indimenticabile unica fondamentale quale quella anche se breve della Resistenza Partigiana.

Torniamo adesso all’immediato dopo guerra. Giolitti vive due dimensioni della vita pubblica molto intrecciate tra loro: quella politica e quella intellettuale come collaboratore della prestigiosa casa editrice Einaudi. Da politico matura posizioni più articolate e indipendenti rispetto all’atteggiamento filosovietico del PC di quegli anni. Se infatti nel ‘48 si oppone al piano Marshall obbedendo alla linea del partito, due anni più tardi segue con interessi il piano del Lavoro preparato dalla CGIL di Di Vittorio criticato da Togliatti. La rottura con il PC si avvicina con il celebre rapporto segreto di Krusciov e poi esplode con la repressione Sovietica della rivoluzione ungherese nel ’56. L’evoluzione del Giolitti politico è preparato da quella del Giolitti intellettuale. Il lavoro alla Einaudi lo pone come figura di collegamento fra la casa editrice e il PC. Prima segue la pubblicazione dei quaderni dal carcere di Antonio Gramsci e poi un pensiero economico di figure di rilievo come gli italiani Sraffa, Sylos Labini, Fuà e Caffè. Soprattutto Giolitti si fa profondo conoscitore delle teorie del celebre economista inglese John Maynard Keynes che vuole riformare il capitalismo con la programmazione economica e il Welfare. La dimensione dello studio è quella che ama di più, infatti la sua casa è perennemente invasa dai libri.

Ho vissuto in una casa piena di libri da sempre. Dai primi ricordi della mia vita questi libri arrivavano dalla casa editrice Einaudi in continuazione, mi ricordo questi scatoloni giganteschi che periodicamente arrivavano con tutte le novità Einaudi. Cioè io proprio mi chinavo in queste in questi enormi scatoloni, cominciavo a tirare fuori questi libri che non leggevo perché non ero assolutamente ancora in grado di leggere ma era una sorta di monumento al libro. L’immagine di mio padre era essenzialmente l’immagine di un uomo che leggeva. Quando era in casa l’attività politica di padre era un lavoro formidabile che lo teneva fuori casa per quasi tutta la giornata. All’epoca si usava tornare a casa a pranzo e poi si riuscivano non c’era l’orario continuato. Ma quando passava le ore in casa o perché era festa era un uomo in lettura. Come lui dice un intellettuale prestato alla politica perché ha scelto la politica. La prevalenza è stata la politica però l’attività editoriale per Einaudi era una presenza forte in famiglia. Cioè se ne parla molto e soprattutto si vedevano molto le persone che venivano a pranzo, Calvino, Cases, Giulio Einaudi. Io mi ricordo perfettamente era un continuo di amici che venivano a chiacchierare con lui e che avevano a che fare con l’attività editoriale. La sua vera passione forse era quella, il suo vero imperativo era l’altro, la politica e quindi siccome era un uomo coerente rigoroso e inflessibilebile ha scelto la politica anche se probabilmente non era la cosa che più coincideva con il suo sentire, col suo essere felice. Ecco come diceva il suo nonno se si vuole una vita tranquilla non si fa politica.

Questa fedeltà ai suoi imperativi categorici si riflette anche nel suo modo di intendere il suo ruolo di padre. È certamente un uomo esigente rigoroso un rigore che applica anche quando d’estate organizza caccia al tesoro per i propri figli e i figli dei suoi amici.

Era lui che seguiva la scuola, era lui che andava a parlare coi professori, era rigoroso, non lasciava andare, però era anche lui che l’estate organizzava le caccia al tesoro in questa casa di campagna. E organizzava delle Caccia al tesoro straordinarie a cui si partecipava in squadra, in bicicletta in giro per il paese, poi c’erano tutti i figli dei famosi amici della Resistenza e c’erano tutta la famiglia Geymonat, c’erano tutta la famiglia e Colajanni che anche loro trascorrevano all’estate nei paesi intorno e che venivano per l’occasione, era l’occasione era il compleanno di mia sorella che compie gli anni d’agosto, in cui si svolgeva questa grande caccia al tesoro organizzata sempre da mio padre in modo estremamente fantasioso, ricco di trovate, pieno di iniziative. Mi ricordo che insomma questo tesoro alla fine di tanti, tanti, tantissimi bigliettini che bisognava trovare quesiti da risolvere finalmente una cosa finale era trovare il punto centrale di questo cerchio il posto dove sarà il tesoro e per trovare la dimensione di questo raggio bisogna srotolare un rotolo di carta igienica. Evidentemente lui prima di nascosto, di noi, quindi probabilmente di notte era andato con questo rotolo per vedere dove nascondere il tesoro.

C’è un altro particolare che ci aiuta a capire la scelta della politica di Giolitti: entra nella Cooperativa dei Deputati che possiede un palazzone nell’allora periferia di Roma, una soluzione abitativa modesta che ci fa capire bene come vissuta in quegli anni la professione di parlamentare.

All’epoca era praticamente in mezzo alla campagna. L’attrattiva maggiore era che ci si affacciava dalla finestra e si vedeva passare il treno e si vedevano i campi con pecore perché era proprio l’oscurità solitario, pieno di cantieri di casa in costruzione che poi via via hanno occupato tutta quella zona con quartieri moderni. Fu una scelta per loro sicuramente di identità e anche di economia, non dimentichiamoci che all’epoca i parlamentari comunisti, e allora mio padre era comunista, perché è stato fino al 56, davano la metà del loro stipendio di parlamentari al partito. Quindi non si navigava nell’oro. Un grande palazzone piastrellato di piccole mattonelline color verde acqua gigantesco con 7 portoni si affacciano sulla Colombo e due portoni sul lato corto enorme edificio dall’alto. Sette piani per almeno sette scale dove dagli anni 50 andarono ad abitare i deputati che avessero voluto farlo. Era una casa con con degli standard molto modesti come materiali, come infissi, come pavimenti. Era un appartamento al quinto piano di una scala che non andava su via Cristoforo Colombo nella stessa scala abitavano  mi ricordi benissimo gli ascensore avanti e indietro Luigi Longo di Vittorio Bernardo Mattarella nell’altra scala c’era Almirante c’era Vittorio Foa c’era Pastore c’era Nenni. Vivevano lì in uno standard abitativo che oggi sarebbe impensabile per un deputato, vivevano gomito a gomito, un segno al tempo stesso come dire di modestia della politica di non lusso. Ecco e anche di grande correttezza nei rapporti: uno dell’ MSI e uno del PC vivevano nello stesso palazzo. Naturalmente i rapporti politici erano pessimi ma la consapevolezza comunque di fare un’attività di impegno civile portava comunque a una qualche sintonia che me lo ricordo benissimo e l’ho vissuta a lungo del ‘55 al ‘68. 

Nel ‘58 Giolitti entra nel Partito Socialista italiano e diventa protagonista del dibattito culturale sulla svolta del centro-sinistra e della stagione della cosiddetta programmazione economica assieme a un altro socialista Riccardo Lombardi e al repubblicano Ugo La Malfa. Puntano a riforme di struttura come ad esempio la nazionalizzazione dell’ energia elettrica che secondo loro dovrebbero riuscire a introdurre elementi di socialismo nel solco della tradizione democratica occidentale. Giolitti lavora molto a questo progetto come ministro del bilancio e della programmazione del primo governo Moro ‘63-’64. Ma il centro-sinistra non ha solide basi. La fine del boom economico l’inflazione e l’opposizione degli ambienti moderati impersonata da due suoi grandi avversari il ministro del tesoro Colombo e il governatore della Banca d’Italia Carli, portano infatti all’accampimento dei propositi riformisti. Giolitti, sconfitto, si allontana dal governo. Negli anni 70 Giolitti vive la sua ultima esperienza di governo sempre come ministro del bilancio di un centro-sinistra che questa volta definirà “agonizzante”. Il clima del paese Infatti mutato mobilitazioni studentesche, conflittualità sociali stragismo e terrorismo cambiano radicalmente il quadro. Anche stavolta Giolitti non riesce a realizzare quanto sperava e anche stavolta vive il fallimento.

È stata un’attività quella della programmazione economica un investimento in termini di impegno di studio e di competenze di personalità straordinario e rimane sempre  sia questo aspetto della grande coerenza e moralità diciamo nelle sue scelte politiche e anche quella di testimoniare, di verificare la fitta rete di frequentazioni con il mondo della cultura economica e italiana internazionale, cioè io ho un ricordo diretto delle telefonate a cui rispondevo in un’epoca in cui non esistevano i cellulari e quindi le telefonate arrivavano solo sul telefono di casa e io che stavo spesso a casa perché studiavo ero una delle persone addette a rispondere alle telefonate. E telefonate erano continue, Io ho un ricordo Spaventa Saraceno Sylos Labini, tutta una serie di nomi ai quali io rispondevo al telefono e pigliavo appuntiti per messaggi a mio padre. Certamente la delusione poi sul su come le cose sono andate le difficoltà e le opposizioni sono state dolorose. Ma io credo che la soddisfazione di aver anche cresciuto una generazione di studiosi che non stavano solo a tavolino ma sperimentavano le loro teorie in azioni politiche e in progetti politici comunque è una generazione tra l’altro di persone più giovani di mio padre che nel corso del tempo hanno avuto dei ruoli importanti nella politica e nella cultura economica italiana. E questo è un investimento che lui ha fatto attorno al centro di sinistra e alla idea della programmazione che non è certo morto con i fallimenti di quell’esperienza legata al fallimento del centro-sinistra eccetera.

 Anche durante gli anni Settanta Giolitti non cerca la vita facile nemmeno nella sua vita politica. È critico con la dinamica sociale avviata dalla solidarietà nazionale di moro e Berlinguer perché pensa che rende perché pensa che rende impossibile delle politiche riformiste avanzate che rispondono in modo strutturale alla crisi sociale ed economica del paese. Prende poi le distanze dalle politiche di Craxi che dopo l’assassinio di Moro cercano alleanza più solida con la Democrazia Cristiana e il contrasto con il suo segretario lo porta ad accettare la designazione nel ‘77 a membro della commissione della comunità economica europea. Nel luglio ‘78 tra i candidati alla presidenza della Repubblica ma i cattivi rapporti con Craxi e la aperta ostilità di La Malfa portano invece alla elezione di Sandro Pertini.

Era un conflitto sia politico e anche proprio personale credo che il personaggio Craxi fosse quanto di più estraneo e in un certo senso irritante per mio padre. Insomma dal punto di vista del feeling non dal punto di vista politico anche. Ma certamente si respirava, si respirava questa insofferenza e questa disistima. Ecco diciamo così. Non aveva solo a che fare con un dissenso politico ma proprio dal punto di vista del metodo. Il suo uscire di sera dal Partito che ha significato anche l’uscita di scena da Roma accettando l’incarico a Bruxelles, utile poteva essere, e lo è stato, nella commissione europea, e uscire di scena da candidatura della presidenza della Repubblica e qua c’è tutto mio padre, non se ne è nemmeno parlato ma non non sentiva fare nemmeno un accenno a mio padre di questa cosa.

L’esperienza di commissario europeo a Bruxelles è come una seconda giovinezza ricopre l’incarico di commissario alla politica regionale dal ’77 all’84 cercando di creare nuovi strumenti di governo e programmazione dell’economia che la Nascente globalizzazione ha ormai sottratto alla sfera nazionale. A Bruxelles Giolitti prende definitivamente le distanze dal Partito Socialista.

Fondamentalmente era il periodo del dissidio con Craxi e Craxi trovò questo modo per liberarsi di un antagonista e ciò non toglie che che che mio padre svolse il suo ruolo in modo più che egregio, così dicono gli esperti di politica internazionale. Non ho testimonianze da questo punto di vista dirette, è stato molto apprezzato. La loro permanenza a Bruxelles la loro vita fu una vita buona, in fondo erano due persone piuttosto anziane abitudinarie come regole di vita avevano sempre vissuto a Roma. Si trasferirono senza batter ciglio a Bruxelles e lì furono molto rallegrati dalla convivenza prima con una e poi con un’altra delle loro nipoti figlie di mia sorella la ragazza ragazzi e ragazze che andarono a studiare da Bruxelles e che vissero prima una poi l’altra a casa loro, una casa dei nonni e quindi loro in qualche maniera vissero come una seconda giovinezza. Mi sorprese la loro capacità di della loro flessibilità e la loro adattabilità perché in fondo io avevo sempre considerato due tipi abitudinari e invece senza problemi si trasferirono lì certo la mia mamma ricostituì una casa con loro poltrone coi tappezzi coi quadri e tutto quanto, però insomma non è uno scherzo da poco. Erano anche attorniati da una equipe di collaboratori di primissimo piano di mio padre che come sua abitudine sapeva selezionare, scegliersi i suoi collaboratori con grande perspicacia e intelligenza.

All’inizio degli anni 80 decide di uscire dal PSI in conflitto con la politica di Craxi che nell’83 è il primo socialista diventare Presidente del Consiglio, fatto che Giolitti giudica tragico perché pensa che l’alleanza con la Democrazia Cristiana impedirà una politica concretamente riformatrice. Nell ‘87 viene eletto senatore come indipendente nelle liste del PC e non rinnova la sua candidatura nel ‘92. Decide di dedicarsi a un’attività più intellettuale con l’obiettivo del rinnovamento della sinistra.

Credo che la scelta di mio padre di uscire dal PC non fu solo e tanto il riconoscimento degli errori stalinisti e staliniani ma anche il riconoscimento che una sinistra deve considerare i movimenti popolari come qualcosa di importante e legittimamente autonomo anche rispetto alle scelte e alle decisioni di un partito. E quindi l’uscita del Partito Comunista per entrare nel Partito Socialista e poi i dubbi, i rifiuti di un partito socialista che in qualche modo si regimentava anche lui e un ritorno poi a un PD che in fondo era non il suo punto di partenza. Però è come una linea di rigore, di coerenza che lui mantiene, quindi in questo io vedo un filo rosso di grande coerenza anche se anche con il coraggio di cambiare.

L’ultimo episodio che vogliamo raccontarvi riguarda due fili rossi che percorrono la vita di Giolitti: la coerenza e l’amicizia. Questo episodio riguarda Giorgio Napolitano che nel ’56 si schierò a favore dell’Unione Sovietica e che quando nel 2006 venne eletto presidente della Repubblica decise di fare un gesto molto significativo e bello nei confronti di Antonio.

Anche Napolitano era molto più giovane di mio padre all’epoca nel 56 si schierò contro mio padre e quindi anche con lui per molti anni gli apporti di amicizia vera si guastarono però Napolitano quando è stato eletto presidente il giorno dopo anzi giorno stesso credo addirittura ha fatto visita a mio padre e non era nessuno mio padre, anziano signore in pensione che viveva prevalentemente a casa sua quell’atto di Napolitano di visita mio padre. Fu un atto di risarcimento e di riconoscimento di una posizione che all’epoca era una posizione giusta. Io all’epoca abitavo accanto ai miei genitori, erano anziani, li andavo a trovare e fargli una visitina più o meno tutti i giorni. Quel giorno andai a trovarli e fargli una visitina nel primo pomeriggio e trovare mio padre riverso, praticamente steso che si sventolava sul divano. “Che cosa è successo dissi” e lui disse “Chiedilo alla mamma che cosa è successo” “che cosa è successo?” eh “È successo che stamattina ha telefonato a mezzogiorno dalla segreteria di Napolitano, mi hanno detto se il Presidente poteva venire a trovare papà” “e tu che hai detto” “che eravamo invitati a pranzo fuori dallo zio Giovanni” “ma che venga venga” “lo farò”. Dall’inizio alla fine della sua parabola politica e umana Antonio Giolitti è un uomo che ha espresso un’attenzione ai movimenti popolari interpretati da una prospettiva di sinistra con la coerenza di chi ama un grande ideale guidato da una lealtà intellettuale che gli ha donato il coraggio di fare delle scelte radicali. È una testimonianza utile anche per chi non condivide nulla del suo percorso e del suo pensiero perché ci racconta come sia possibile vivere alla luce di un ideale ideale. 

Le figlie della Repubblica è una delle iniziative che trovate su fondazione degasperi.org, grazie al contributo di Fondazione Cariplo e al sostegno dell’Istituto Gentili, nata da un’idea di Martina Bacigalupi e realizzata da WIP Italia. È stato raccontato da me, Alessandro Banfi, ed è stato scritto e diretto da Emmanuel Exitu. Con la supervisione storica di Antonio Bonatesta e la collaborazione degli amici giovani della Fondazione De Gasperi nelle persone di Martina Bartocci, Iacopo Bulgarini, Miriana Fazzi, Federico Andrea Perinetti, Gaia Proietti, Luca Rosati, Sound Design di Valeria Cocuzza, registrazione in studio di Marco Gandolfo, per una produzione WIP Italia.


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