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podcast

Le Figlie della Repubblica - Stagione 2

#Episodio 1

Anna Maria Cossiga racconta il padre Francesco

SINOSSI

Dalla conflittualità delle piazze degli anni Settanta alla Presidenza della Repubblica, passando dalla tragedia di Moro. Cossiga è stata una figura centrale della Prima Repubblica, in un’altalena di grandi responsabilità e di momenti di riserbo. Questo podcast ci racconta, attraverso il generoso ricordo della figlia Anna Maria, il percorso politico di una personalità di grande acume e intelligenza, speso tra la militanza democristiana, la drammaticità di alcuni passaggi della vita nazionale e le aspirazioni a un profondo rinnovamento del sistema dei partiti dopo la fine del sistema bipolare.


BIOGRAFIA

Francesco Cossiga (Sassari, 26 luglio 1928 – Roma, 17 agosto 2010). Uomo politico e giurista italiano, deputato e senatore della Democrazia cristiana, ministro, presidente del Consiglio e della Repubblica.

Dalla formazione alla solidarietà nazionale

Proveniente da una famiglia di estrazione medio-borghese, repubblicana e antifascista, il padre Giuseppe era stato militante del Partito sardo d’azione mentre la madre, Mariuccia Zanfarino, aveva alle spalle una cultura radicale e massonica.

Figura brillante e di grande intelligenza, una volta ottenuta la maturità a soli sedici anni presso il liceo classico Azuni iniziò un’accidentata carriera universitaria che lo vide iscritto inizialmente all’Università di Sassari, quindi alla Cattolica di Milano, poi a Pisa, per fare definitivamente ritorno alla facoltà di Giurisprudenza di Sassari, dove conseguì la laurea con il massimo dei voti. Divenuto assistente volontario alla cattedra di Diritto costituzionale, ottenne la libera docenza nel 1959 e insegnò fino al 1974 quando, con la prima nomina a ministro, si mise in aspettativa dal mondo accademico.

Cossiga si impegnò fin dall’adolescenza nell’associazionismo cattolico, dando vita a circoli giovanili di preghiera e meditazione e aderendo sia all’Azione cattolica che alla Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci). Nel 1945 decise di iscriversi alla Dc, inizialmente vicino alle posizioni di Dossetti e della rivista “Cronache sociali”, e nel marzo 1956 fu protagonista della rivolta dei ‘Giovani turchi’, culminata con l’emarginazione delle vecchie figure notabilari del partito e l’elezione a segretario provinciale.

Eletto per la prima volta deputato nel 1958, Cossiga contribuì dapprima alla fondazione della corrente “dorotea”, per poi divenire nel 1966 sottosegretario alla Difesa nel governo Moro III, il più giovane parlamentare a ricoprire questa carica. In questi anni sovrintese all’organizzazione di Gladio, una rete militare segreta legata alla Nato il cui obiettivo era di avviare forme di lotta armata in caso di invasione da parte di una potenza comunista. Nel corso degli anni Settanta fu ministro della Pubblica amministrazione nel governo Moro IV (1974-1976) e soprattutto dell’Interno (1976-78), incarico quest’ultimo che lo condusse a confrontarsi con il clima di mobilitazione e violenza politica di quegli anni e ad emanare contestati provvedimenti a salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.

Dall’assassinio di Moro alla Presidenza della Repubblica

Con il rapimento di Aldo Moro, Cossiga fu tra i principali fautori della cosiddetta linea della fermezza, ostile alla trattativa con i terroristi, pur essendo legato a Moro da profondi sentimenti di amicizia. L’uccisione dello statista fu considerata da Cossiga una sconfitta personale e per questo rassegnò le dimissioni da ministro degli Interni ritirandosi temporaneamente dalla vita pubblica.

A seguito delle elezioni politiche del giugno 1979 fu incaricato dal presidente Pertini di formare il nuovo esecutivo, basato sull’alleanza tra democristiani, socialdemocratici e liberali, che si distinse per l’impegno contro il terrorismo, inasprendo le disposizioni sull’ordine pubblico e varando una serie di norme che prevedevano riduzioni di pena per quanti erano disposti a collaborare con la giustizia. Una nuova crisi politica nella primavera del 1980 portò alla formazione di un nuovo governo composto questa volta da democristiani, socialisti e repubblicani, sempre guidato da Cossiga, che ebbe tuttavia vita breve e fu costretto alle dimissioni nel settembre dello stesso anno.

Dopo un nuovo, momentaneo ritiro dalla scena politica nel giugno 1983 Cossiga tornò in Parlamento e fu eletto presidente del Senato. In questo ruolo seppe distinguersi per probità e correttezza istituzionale, motivo per cui due anni più tardi, nel giugno 1985, una larga maggioranza parlamentare lo elesse alla Presidenza della Repubblica. La prima parte del settennato fu caratterizzata da un tradizionale contegno istituzionale e da un’interpretazione quasi notabile del ruolo di presidente, ma con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’ordine bipolare Cossiga cambiò radicalmente approccio, entrando in polemica con la classe politica e con il Consiglio superiore della Magistratura, che riteneva distorto da eccessive forme di politicizzazione. Cominciava dall’autunno 1990 la stagione delle cosiddette “picconate”, che culminò nel giugno 1991 con un lungo messaggio alle Camere volto a sollevare il problema della cosiddetta “partitocrazia” e delle riforme costituzionali.

Il 28 aprile 1992 decise di dimettersi, due mesi prima rispetto alla conclusione naturale del mandato, poiché credeva che un nuovo presidente, nel pieno dei poteri, potesse meglio gestire l’irrompere della crisi politica e finanziaria che stava affliggendo il paese. Rimase senatore a vita fino alla morte, avvenuta a Roma il 17 agosto 2010.


TRASCRIZIONE PODCAST

È diventato deputato subito, quindi lui stava qui a Roma cinque giorni alla settimana e poi veniva a Sassari dove vivevamo mia madre, e mio fratello ed io. “Arriva babbo mi raccomando: è stanco bisogna fare silenzio”; la domenica lui riposava il pomeriggio e bisognava fare silenzio perché babbo era stanco. Ma lui ci faceva delle casette di cartone tagliato, con il cartoncino attaccava tutti i pezzi, col tetto, una casa tridimensionale con le finestre che si aprivano e i vetri fatti con la plastica. Era bravissimo a farlo e questo è un bellissimo ricordo del padre che torna a Sassari, che si deve riposare ma poi ci faceva queste cose meravigliose.

Le figlie della Repubblica è il podcast della Fondazione De Gasperi realizzato in collaborazione con il Corriere della Sera con il contributo di Fondazione Cariplo e il sostegno di Poste Italiane. Un racconto molto speciale delle grandi figure che hanno costruito la nostra Repubblica in una serie di ritratti intimi e familiari attraverso gli occhi e le memorie delle loro figlie. Sono Alessandro Banfi e in questa puntata raccontiamo Francesco Cossiga attraverso i ricordi di sua figlia Annamaria. Cossiga è stato uno dei grandi protagonisti della nostra storia in un percorso politico della Democrazia Cristiana che lo ha portato alle più alte cariche dello stato. Ministro degli Interni, Presidente del Consiglio e poi Presidente della Repubblica. È stato un personaggio che si potrebbe definire unico nel panorama storico e politico, sempre schierato ma mai del tutto organico, segnato sin da giovanissimo da una grande intelligenza e da una grande inquietudine. Nasce a Sassari il 26 luglio 1928 in una famiglia colta, suo padre è un antifascista e anticlericale militante del partito sardo d’azione, nonno e bisnonno sono massoni. Intelligentissimo, inquieto, abbandona il liceo per noia facendo da privatista la maturità a 16 anni, frequenta giurisprudenza a Milano e infine a Pisa per tornare a Sassari dove si laurea a vent’anni.

Questa sua inquietudine interiore credo che ci fosse proprio da quando era ragazzo. Lui era il terzo figlio, suo fratello maggiore era morto da bambino, lo chiamavano “Franceschino morto”, per la scarlattina. Lui era nato e gli era stato dato lo stesso nome del fratello e lui ha sempre questo ricordo di questo fratellino di cui si parlava ma non tanto, che lui non aveva mai conosciuto, avevamo la fotografia. Lui era il piccolino della famiglia, con una sorella maggiore, viziatino diciamo così. Questa specie di ragazzo è un po’ geniale perché ha saltato due anni di liceo quindi è arrivato all’università molto giovane, si è laureato molto giovane. La cosa che mi ricordo bene è che gli piaceva Goethe, “le affinità elettive” il libro. C’era questa storia della famiglia massone, non ho bisogno di mio padre massone, dietro a quel periodo raccontava con una certa quasi orgoglio che era 33° ed ultimo grado del Rito Scozzese, mi pare che fosse una cosa del genere. E poi invece questa nonna che gli aveva passato il cattolicesimo, mio padre era cattolico un po’ bigotto in alcune cose e per altre invece era apertissimo e credo che moltissimo di questo suo grande cattolicesimo anche del suo interesse per il filosofi cristiani sia venuto molto da un sacerdote che era nella nostra parrocchia San Giuseppe, che era visto come il maestro in qualche modo, che si chiamava Monsignor Masia, e lui aveva questo grandissimo rapporto. Andavamo sempre a salutarlo, tutte le domeniche dopo la messa. Della sua infanzia infanzia non ha mai parlato moltissimo, i primi ricordi di cui lui chiacchierava erano di quando era all’università, prima era andato alla Cattolica a Milano e anzi mi ricordo una sua fotografia, una festa delle matricole vestito da carabiniere dell’ 800 e poi però è tornato a Sassari e nei suoi racconti c’è sempre la Fuci, e questa è una cosa che lui raccontava. C’erano i viaggi che facevano ma stranamente dell’infanzia vera e propria non ne parlava tantissimo e invece raccontava divertendosi come un matto, perché mio padre era molto divertente, era una persona simpatica anche se certe volte poteva essere un po’ pesante, e allora raccontava ridendo come un matto questa storia di questo professore che adesso non mi ricordo come si chiamava, pare lui al liceo fosse molto discolo, faceva scherzi con i suoi compagni, disturbava il professore di storia, a un certo punto si erano messi a friggere un uovo in classe e questo Santoni che insegnava latino e greco disse “Cossiga Esci dalla porta e richiudila dentro di te!” e questo lo divertiva moltissimo.

L’impegno nell’associazionismo cattolico, la devozione all’insegnamento di Santo Tommaso D’Aquino lo portano verso la politica. Si iscrive nel ’45 alla Democrazia Cristiana prima avvicinandosi alla corrente di Dossetti e poi a quella di Fanfani senza però essere mai pienamente organico alle correnti ma dialogando con tutte le sensibilità del partito. È eletto per la prima volta in Parlamento nel ‘58 e Sottosegretario in diversi governi assumendo compiti piuttosto delicati. Supervisiona infatti la costruzione di “Gladio” sezione italiana di “Stay Behind”, la rete semi clandestina della Nato in funzione anticomunista, presiede la commissione d’inchiesta sul cosiddetto “piano solo” che si occupa del presunto intervento dei Carabinieri sugli assetti democratici. Infine gli viene affidato il compito di negoziare con gli altri partiti un’attuazione della legge sul divorzio che sia il meno problematica possibile per il mondo cattolico. Gli Anni Sessanta sono un periodo denso di responsabilità, non può più fare la vita da pendolare e porta tutta la famiglia a Roma.

Quando noi eravamo piccolini era parecchio severo, un po’ rigido, e io poi avevo paura di lui perché non c’era mai. Io avevo sette anni, quindi quando ero piccola avevo paura di questo padre che non c’era, poi arrivava e “fate silenzio!”. Quando ci siamo trasferiti a Roma le cose sono molto migliorate perché passavamo sempre del tempo insieme, e una cosa che ci piaceva molto fare era andare al supermercato perché a Sassari non c’erano. Un supermercato quindi per noi era una cosa super moderna. Però mi ricordo questi sabati al supermercato, era come andare a vedere un luna park, praticamente, andavamo lì a comprare i regali per i nostri cuginetti che erano in Sardegna, era una cosa magica. Diciamo che io ricordo un padre molto severo con le regole della chiesa: per andare al cinema lui guardava il giudizio che usciva sui film su Famiglia Cristiana. Io volevo andare a vedere “American Graffiti”. Allora Lui controlla e c’era questo giudizio “discutibile e ambiguo” quindi vietatissimo, ma mia madre ci ha portato lo stesso. Allora diciamo che il momento in cui si è scongelato qualcosa è quando ho cominciato ad andare al liceo. Allora io volevo fare il liceo linguistico, lui mi ha detto chiaramente “il liceo linguistico non esiste!” e quindi mi ha iscritta al classico. Allora questo liceo classico di suore irlandesi che erano parecchio bigotte, si andava a scuola col basco in testa alle 8:00 a dire il rosario. L’ultimo anno del liceo io avevo un ragazzo, esco da scuola, stava piovendo e ci siamo messi lui e io sotto una tettoietta e lui mi ha messo il braccio sulla spalla e poi io fumavo anche, questa era la tragedia per le suore. Allora si vede la preside dalla finestra e manda giù una suora che mi fa una piazzata come fossi stata nuda per la strada e mio padre si infuria anche lui e dice neanche “se fossi stata la figlia di una baldracca ti avrebbero trattato così”. L’indomani è andato a scuola, mi ha ritirato, ha richiesto tutti i documenti e quando la preside gli ha detto che doveva sentire la loro campana lui ha risposto “Qui non ci sono campane mia figlia se ne va da questa scuola” e quindi ho fatto l’esame da privatista. Per me questa cosa che mio padre mi avesse appoggiato in questo modo è stato di grande orgoglio.

Prima di raccontare gli anni Settanta burrascosi per la società e tormentosi per lui vale la pena raccontare un aspetto della sua personalità che Cossiga rivelerà molto tardi non solo alla figlia ma in tutte le interviste che rilascia. È l’immagine misteriosa e curiosa dell’”omino bianco” e dell’”omino nero”, un disegno che molti non ammetterebbero mai di avere ma che esprime bene il senso dell’inquietudine che lo accompagnava sempre.

Lui ha parlato in varie interviste di questa cosa, diceva che dentro di sé c’era un “Omino Bianco e un omino nero” che penso sia una cosa abbastanza diffusa per gli esseri umani. Però forse non tutti ci riflettono tanto sopra e lui si è fatto fare da me un quadretto in cui aveva voluto uno bianco al centro e uno più piccolo messo un po’ storto in alto a sinistra perché lui diceva “Io sono questo cioè sono una persona allegra Eh però dentro di me c’è anche quest’altra parte diciamo l’omino nero viene fuori in occasioni particolari e viene fuori quando ci sono grandi dolori per esempio” e lui aveva questa cosa e mi rendo conto che anche nelle interviste che magari ha rilasciato un po’ gli piaceva tirarla fuori. Però era questa riflessione, questo continuo “arrovellio” della mente che un po’ lui aveva.

Gli anni Settanta sono gli anni politicamente più complicati per Cossiga, per il clima di violenza, crea i primi reparti di antiterrorismo ed emana una legislazione emergenziale nell’ottica di prevenire e reprimere le minacce all’ordine democratico e alla sicurezza dello Stato. È un ministro democristiano, certo, ma non le manda a dire. Quando nel febbraio del ’77 il segretario generale della CGIL Luciano Lama è contestato all’università La Sapienza dagli studenti dice che non avrebbe permesso il Far West, un approccio subito criticato soprattutto dai movimenti studenteschi. Sui muri dei palazzi cominciano ad apparire molte scritte contro di lui, il suo nome è scritto con la kappa, il simbolo delle SS naziste. Lo scontro è durissimo anche in Parlamento: “Non basta non lanciare molotov, non usare le spranghe di ferro, non ricorre alle armi da fuoco, è necessario non aprire la porta, anzi è doveroso chiuderla alle p38, a chi ha usato e lascia usare o almeno non condanna che si usino”. La tragedia personale comincia con Il rapimento di Aldo Moro, Cossiga lo considera il suo maestro ma è determinato a non cedere in alcun modo ai terroristi per non indebolire l’autorità dello Stato e assume la linea della fermezza. Dalla prigionia Moro gli scrive una lettera che però lui definisce “non moralmente autentica”, è un tentativo di indebolire la posizione negoziale dei carcerieri ma allo stesso tempo accende una cattiva luce su Moro provocando l’indignazione della famiglia dello statista. È una parte della nostra storia avvolta da un groviglio di misteri di penombre e di dolore. Con l’omicidio di moro Cossiga rassegna le dimissioni e sembra che la sua carriera politica sia finita. Sono anni tremendi dove appare chiaro che Cossiga ha due obiettivi, uno pubblico, difendere lo Stato, e uno privato, difendere i figli dal terrore. Tutto comincia il 16 marzo 1978 alle ore 9:25.

È cambiata molto, anche la nostra vita. C’è mio fratello che aveva 15 anni, si è rivolto a mia madre, sono stati bravissimi a non farci mai avere paura, certo andavamo in giro con la scorta tutte le mattine veniva a prenderci per portarci a scuola una macchina diversa con la targa diversa e facevamo una strada diversa per andare a scuola. Spesso il sabato c’erano manifestazioni e noi non potevo uscire quindi quando uno ha 16, 17 anni è brutto. Oppure qualunque cosa facessimo noi avevamo dietro la scorta. Però mai avuto una sensazione di paura, io non avevo paura, neanche per lui. Cioè non mi veniva in mente “possono ammazzare mio padre”. Io mi ricordo che ero a scuola, c’è stato quel panico generale, tutti i genitori che arrivavano a prendere le figlie (è una scuola femminile) la mia professoressa di latino e greco: “ma non vengono a prenderti ma perché sei ancora qui?”. Due giorni dopo a casa aveva sempre questo viso teso, nello stesso tempo cercava di rassicurarci che a noi non sarebbe successo niente. Non parlava di Moro, certo poi quando lo hanno ammazzato io mi ricordo il viso di mio padre cioè come se fosse caduto fisicamente per terra, crollato non solo perché era il Ministro degli Interni ma perché Moro per lui era sua Maestro, c’era un rapporto affettivo personale molto profondo, è stata la morte di qualcuno di molto vicino, chiaro che mi ricordo mio padre buttato sul divano con gli occhi persi e poi gli è venuto un ciuffo bianco nei capelli e poi per tantissimo tempo lui non ne ha mai parlato, mai. Diciamo che ha cominciato un po’ a parlarne quando avevo più di 30 anni, quindi eravano passati 15-16 anni, non so, mi chiedeva cosa tipo “te lo ricordi, ti ricordi quei giorni perché ti puoi immaginare per me che cosa è stato, in fondo se lo hanno ammazzato è anche colpa mia, devi capire che in quel momento io non potevo fare altro perché c’era di mezzo lo Stato”. Aveva molto il senso dello Stato, io dovevo capire sia lo strazio che aveva provato sia però perché non aveva scelta questa è una cosa che anche nel tempo poi quando ne abbiamo parlato perché comunque era una cosa che secondo me aveva fissa. La sua risposta credo sia stata purtroppo “non potevo fare altro”.

Dopo il massacro di moro e della sua scorta la carriera politica di Cossiga sembra finita eppure viene letto alle elezioni del ‘79 e con il sorprendente appoggio di tutte le anime della DC, viene incaricato dal Presidente Pertini di formare il governo guidando poi due ministeri di coalizione fino al 1980. Di nuovo si ritira dalla vita pubblica nell’83 viene eletto senatore e poi presidente del Senato, nell’85 vive la sua apoteosi politica, viene eletto infatti Presidente della Repubblica al primo scrutinio cosa mai successa nella storia delle istituzioni. Per usare la sua immagine preferita si potrebbe dire che la sua presidenza viene condotta prima dall’omino bianco e poi dall’omino nero, i primi cinque anni del mandato sono vissuti all’insegna della rigorosa attenzione al dettato costituzionale.

Lui è stato eletto nell’85, io nell’87 sono andata a vivere a New York dove sono rimasta 4 anni poi mi sono trasferita a Londra e sono rimasta altri quattro anni a Londra quindi proprio io nel settennato qui non c’ero però lui veniva, lui è venuto sia a New York come presidente della Repubblica sia a Londra. Un viaggio lo ha fatto prima da picconatore e uno quando evidentemente aveva deciso di cominciare. Io mi ricordo lui com’era cioè questa seconda volta, allegro, cioè aveva l’aspetto da “Ah ah ah adesso vi faccio” tra l’altro con il fregarsi le mani e questo suo sguardo sornione come per dire “adesso vi sistemo io”.

Nell’89 con la caduta del muro di Berlino prende il comando l’omino nero perché così arrabbiato con l’immobilismo della classe dirigenti italiana e convinto che sia necessario cambiare e molto in fretta il sistema politico alla luce del cambiamento epocale segnato dalla fine della guerra fredda diventa così un presidente provocatorio e molto mediatico e conquista il nome di “picconatore” questo suo stile innesca polemiche e conflitti con molti politici, in particolare con Giulio Andreotti.

E da lì ha cominciato quello è stato anche un moment al livello personale, lui è diventato meno controllato, non so, io mi ricordo parolacce, mio padre era uno da “Non si dicono parolacce” da quel momento ha cominciato invece a rilassarsi molto anche da questo punto di vista. Del perché lui avesse iniziato a fare il picconatore non me ne ha mai parlato in dettaglio, io credo che lui si fosse veramente arrabbiato con la classe politica e in particolare col suo partito. Proprio la caduta del muro di Berlino che cambia il mondo, perché il mondo cambierà, non c’era possibilità che rimanesse come la prima e loro non si accorgevano di niente. Lui non ha fatto niente, essendo lui una persona che credeva così tanto nello Stato si deve essere infuriato proprio per come i suoi colleghi politici ci stavano lasciando andare.

Nel ‘90 viene trovato un memoriale di Moro che rivela la rete militare segreta di cui si era occupato negli anni sessanta come Sottosegretario alla difesa ma Cossiga rivendica con fermezza il suo ruolo nell’operazione. Lui stesso decide di mettere fine al suo mandato due mesi prima della conclusione naturale, il 28 aprile del ‘92, e si dimette con un messaggio dai toni accesi e diretti che vanno molto oltre i confini della funzione del Presidente, come se cercasse un canale di comunicazione diretta con la società italiana. Il 28 aprile del ‘92 entra in Parlamento come senatore a vita, perché ex presidente della Repubblica, ma non prende più la tessera della DC ed entra nel gruppo misto sostenendo spesso la fiducia a maggioranza di segno politico opposto per garantire la governabilità. Nel ‘98 fonda l’unione Democratica per la Repubblica “UDR” nel tentativo di aggregare un’area moderata alternativa alla sinistra e al bipolarismo italiano, tentativo che non gli riesce. Un aspetto interessante della sua vita istituzionale è il rapporto che lui da cattolico e da uomo di stato ha avuto con i papi.

Grande ammirazione per Paolo VI, Giovanni Paolo II, amicizia con Ratzinger: me lo ricordo a pranzo a casa prima, che diventasse Papa naturalmente, Però ecco io mi ricordo che a lui piaceva tantissimo parlare di teologia, lui si piccava di essere un teologo, con Ratzinger a casa che chiacchieravano questo me lo ricordo e poi lui regalava a Ratzinger una millefoglie perché a Ratzinger piaceva e anche con Giovanni Paolo II. Mio padre presidente del consiglio e Giovanni Paolo II eletto da poco ci invita a fare colazione da lui allora andiamo alle 7:30, io avevo 18 anni forse una cosa del genere, si esce prestissimo e tutti i vestiti col velo quindi facciamo colazione con Giovanni Paolo II a un certo punto chiede a mio padre “ma sua figlia quanti anni ha” e mio padre dice “18%” allora lui risponde “però adesso cominciano guai”.

È evidente che Cossiga è un personaggio enorme che non abbiamo ancora finito di conoscere. Però possiamo dire che ha avuto sempre un grande coraggio nel perseguire le sue scelte e ha saputo nutrire una inquietudine durante tutta la sua parabola umana e politica imparando a tenere in equilibrio l’eterna battaglia tra l’Omino Bianco e l’omino nero.fo

Le figlie della Repubblica è una delle iniziative che trovate su fondazione degasperi.org, grazie al contributo di Fondazione Cariplo e al sostegno dell’Istituto Gentili, nata da un’idea di Martina Bacigalupi e realizzata da WIP Italia. È stato raccontato da me, Alessandro Banfi, ed è stato scritto e diretto da Emmanuel Exitu. Con la supervisione storica di Antonio Bonatesta e la collaborazione degli amici giovani della Fondazione De Gasperi nelle persone di Martina Bartocci, Iacopo Bulgarini, Miriana Fazzi, Federico Andrea Perinetti, Gaia Proietti, Luca Rosati, Sound Design di Valeria Cocuzza, registrazione in studio di Marco Gandolfo, per una produzione WIP Italia.


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