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podcast

Le Figlie della Repubblica - Stagione 2

#Episodio 2

Luisa La Malfa racconta il padre Ugo

SINOSSI

“Sacrifici oggi per dare ai nostri figli un futuro migliore”. Questa frase sintetizza bene l’impegno politico e di governo di Ugo La Malfa. Nato in una famiglia con pochi mezzi, seppe farsi strada fino ai vertici della Repubblica, facendo del merito, del rigore e del riscatto del Mezzogiorno il cuore della sua battaglia.
Luisa La Malfa racconta nella puntata di oggi del padre Ugo, padre costituente, più volte ministro e leader del Partito Repubblicano.


BIOGRAFIA

Ugo La Malfa (Palermo, 16 maggio 1903 – Roma, 26 marzo 1979) – segretario del Partito repubblicano italiano, più volte ministro, vicepresidente del Consiglio nei governi Moro IV e Andreotti V.

La formazione e le prime esperienze politiche

Nato nel 1903 a Palermo da una famiglia della piccola borghesia siciliana, La Malfa frequentò le Università di Palermo e Venezia sviluppando negli anni giovanili un vivo interesse per il liberalismo di Croce e per la tradizione democratico-repubblicana risalente al Partito d’Azione di Mazzini.

Nel corso della sua carriera universitaria entrò in contatto con gli ambienti antifascisti avvicinandosi alle posizioni di Giovanni Amendola e maturando la convinzione che fosse necessario un partito di ceti medi, di forte ispirazione democratica, al fine di stabilizzare in senso progressivo il paese.

Con l’avvento della dittatura, le sue capacità furono notate da Giovanni Gentile che lo volle alla redazione dell’Enciclopedia Italiana. Qui incontrò Orsola Corrado, siciliana, addetta allo schedario, che sposò nel luglio 1934 e da cui avrebbe avuto due figli, Luisa e Giorgio ed ebbe occasione di mantenere alcuni contatti con giovani intellettuali antifascisti e riflettere sulle conseguenze della crisi del 1929. Fu nel corso degli anni Trenta che La Malfa ampliò le basi del suo pensiero economico, interessandosi ai principi dell’“economia programmata”, al superamento dell’ortodossia liberista e alle politiche keynesiane del New Deal rooseveltiano, posizioni che approfondì una volta divenuto direttore dell’ufficio studi della Banca Commerciale Italiana nel 1938.

Percependo l’approssimarsi della crisi del regime, nel 1942 partecipò alla fondazione del Partito d’Azione (PdA), prendendo parte alla Resistenza. Nel 1946, dopo le prime deludenti prove elettorali e in rotta con le componenti socialiste, La Malfa abbandonerà il PdA per confluire nel Partito repubblicano italiano (Pri).

Gli anni del secondo dopoguerra videro accrescersi il prestigio di La Malfa come personalità politica e di governo. Dopo le prime esperienze ministeriali nel governo Parri come titolare dei Trasporti (1945), fu eletto alla Costituente, rappresentò l’Italia al Fondo Monetario Internazionale (1947) e assunse l’incarico di ministro senza portafoglio con il compito di procedere alla riorganizzazione dell’Iri (1950). Divenuto ministro del Commercio con l’estero (1951-53), si fece promotore della liberalizzazione degli scambi commerciali con i partner europei, sopprimendo i dazi alle importazioni e ponendo le basi per il successivo “boom economico”.

Dalla programmazione economica alla crisi degli anni Settanta

La Malfa tornò al governo con il centro-sinistra, come ministro del Bilancio e della Programmazione economica dei governi Fanfani. In queste vesti, presentò nel 1962 la cosiddetta “Nota aggiuntiva”, un vero e proprio manifesto della cultura keynesiana e roosveltiana della programmazione economica, che si affiancava alla versione fornite dai socialisti. Con la programmazione economica, i governi di centro-sinistra si candidavano a governare l’impetuosa modernizzazione del paese di quegli anni, nel tentativo di ridurre gli squilibri sociali, i divari territoriali e le grandi differenze tra consumi privati in crescita (che denotavano l’arricchimento di alcuni strati della popolazione a scapito di altri) e consumi collettivi scarsi (diritto alla casa, trasporti pubblici, scuola, sanità).

La fine del boom economico e i timori della Dc spensero però gli accenti più ambiziosi del riformismo del centro-sinistra. La seconda metà degli anni Sessanta vide La Malfa allontanarsi nuovamente dal governo e assumere la guida della segreteria del Pri, stretto tra governi di centro-sinistra ormai incapaci di attuare un’adeguata strategia riformatrice e l’esercizio di un ruolo di critica privo di sostanziali approdi politici.

L’ultima stagione politica di La Malfa si aprì nel 1973, con la ricostruzione di una coalizione di centro-sinistra a seguito del fallimento dell’esperimento neocentrista dell’esecutivo Andreotti-Malagodi (Dc-Pli). Fu al governo come ministro del Tesoro e come vicepresidente del Consiglio dei ministri, prima con Rumor (1973-74) poi con Moro (1974-76), fino dunque alle soglie della stagione della “solidarietà nazionale”.

Di fronte all’emergere del terrorismo, La Malfa divenne uno degli esponenti più impegnati nella linea di difesa dello Stato. Nel marzo 1978, il rapimento di Moro – figura con cui aveva stretto una solida collaborazione di governo, soprattutto nella prima metà del decennio – non mutò questo atteggiamento, tanto che La Malfa si schierò tra i più decisi fautori della linea della “fermezza”, del rifiuto cioè di ogni trattativa coi brigatisti.

Dopo le dimissioni di Andreotti, nel febbraio 1979, La Malfa fu incaricato da Sandro Pertini di formare un nuovo governo: era la prima volta dal 1947 che un tale incarico era assegnato a un politico non democristiano. Dopo alcuni giorni, di fronte all’emergere di difficoltà, La Malfa rinunziò all’incarico, ma venne nominato vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio nel V governo Andreotti (marzo 1979), suo ultimo incarico prima della morte.


BIOGRAFIA

Il padre di mia nonna, come succedeva con questi nobilotti siciliani spesso, si era indebitato al gioco e si era suicidato e aveva lasciato la moglie e un gran numero di figli, adesso non mi ricordo più se 10 o 12 in grandissima povertà. 

Le figlie della Repubblica è il podcast della Fondazione De Gasperi realizzato in collaborazione con il Corriere della Sera con il contributo di Fondazione Cariplo e il sostegno di Poste Italiane. Un racconto molto speciale delle grandi figure che hanno costruito la nostra Repubblica in una serie di ritratti intimi e familiari attraverso gli occhi e le memorie delle loro figlie. Sono Alessandro Banfi e in questa puntata raccontiamo Ugo La Malfa dei ricordi di sua figlia Luisa. La Malfa nasce nel 1903 a Palermo in questa famiglia della piccola borghesia decaduta e piuttosto povera. Una povertà che segnerà profondamente il suo approccio alla politica. La Malfa terrà sempre presenti le privazioni dell’infanzia vissute in una delle zone più depresse del Mezzogiorno. La famiglia può fargli frequentare solo la scuola tecnica ma dopo il diploma si prepara, nel corso di una sola estate, alla maturità classica e passa l’esame per iscriversi all’università.

È nato nel quartiere dell’Olivuzza a Palermo che era abbastanza popolare e non ha potuto fare gli studi a cui sembrava in qualche modo attrezzato nel senso che pare che un maestro della scuola elementare avesse detto che quel bambino era molto brillante, avrebbe potuto avere un futuro. In realtà dopo aver preso il diploma dell’Istituto Tecnico si preparò in un’estate per la maturità classica e così si iscrisse alla ca’ Foscari di Venezia, era un’università molto frequentata dai meridionali. Chi consentì di mantenersi agli studi fu una zia materna, la sorella della nonna che aveva fatto un matrimonio più agiato e che ebbe la generosità di aiutarlo negli studi, era povero e mangiava pane e fichi secchi, la sera si nutriva così e dai suoi ricordi emerge la vita a Venezia perché diventa antifascista tra il ‘21 e il ‘22. I fascisti buttavano in laguna quelli che non la pensavano come loro per cui si creò una grossa contrapposizione tra gli studenti fascisti agli studenti antifascisti. I fascisti stavano prevalentemente in San Marco, gli antifascisti del campo di Santa Margherita, che era più popolare. A Ca’ Foscari si è laureato con Carnelupi, grande giursista, inizialmente si trasferì a Padova e poi però lasciò perché i tecnicismi giuridici, la bravura un po’ astratta lo lasciava indifferente, lui era ormai era preso dalla politica.

È proprio questa passione per la politica a spingere La Malfa a fondare a Roma nel marzo del ‘24 una delle prime associazioni di studenti universitari, “l’unione goliardica per la Libertà”. L’incontro con uno dei più grandi leader dell’antifascismo italiano Giovanni Amendola, lo convince della necessità di un nuovo partito della democrazia italiana, in grado di sottrarre i ceti medi all’influenza del Fascismo e di dialogare con i partiti proletari. Tuttavia non c’è più tempo, la dittatura irrompe nella sua vita e in quella di tutti gli italiani.

Ebbe due borse di studio a Roma, conobbe Giovanni Amendola, grandissimo impatto morale, partecipò al Congresso dell’ Unione Nazionale quella fondata da Giovanni Amendola e di cui si ricorda nella replica accenna a mio padre “abbiamo sentito questa mattina con grande commozione l’intervento di un giovane che rappresenta la sua promessa per il futuro”. La morte di Amendola, scrisse a Palermo, “sono rimasto terribilmente addolorato”. Dopo la morte di Amendola si considerò l’erede spiritualmente. Alla fine degli anni ’20, Giorgio Amendola andò da mio padre e gli disse che si era iscritto al Partito Comunista e mio padre gli fece una scenata, lui tradiva la memoria di suo padre, che un figlio di Amendola non poteva diventare comunista abbandonando gli ideali del padre e lui dice anche che però lui capì il fatto che i giovani antifascisti si iscrivevano al Partito Comunista, voleva dire che non avevano alternative. Allora questa divenne un suo problema che lui doveva in qualche modo costruire un’alternativa per chi fosse di tradizione liberale Democratica, bisognava creare un partito moderno, qui nasce già l’idea del partito d’azione poi entrano naturalmente l’esperienza del New Deal, questo ideale in un certo senso realizzato in America dalla presidenza Roosevelt da un lato e dall’altra la teorizzazione sul piano economico che ne fa Keyenes. Da qui parte un’idea che poi si svilupperà e diventerà il partito d’azione. 

Prima di raccontare la fondazione del Partito di Azione però dobbiamo seguire il percorso di maturazione intellettuale di La Malfa che negli anni ’30 vive due esperienze molto importanti. Prima è chiamato da Giovanni Gentile all’Enciclopedia italiana poi nel ‘33 entra nell’ufficio studi della Banca Commerciale italiana, incontrando il pensiero di Keynes e l’esperienza del New Deal, del laburismo inglese e di tutte quelle teorie economiche che sostengono un maggiore intervento dello Stato nell’economia. Costruisce in quegli anni una folta rete di contatti in particolare con Ferruccio Parri membro di giustizia e libertà, il movimento politico libera al socialista fondato a Parigi nell’agosto del 29. Attorno a queste figure si forma un gruppo di liberati socialisti e antifascisti che sarebbe successivamente confluito nel partito d’azione fondato nel ’42. Nel partito d’azione confluisce anche il movimento del liberal socialismo costituito da Guido Calogero e da Aldo Capitini a Pisa. L’amicizia tra Ugo La Malfa e Guido Calogero risale proprio agli anni dell’enciclopedia italiana e si rafforzerà con il matrimonio di Luisa con Francesco, il figlio di Guido Calogero.

L’enciclopedia era un luogo molto interessante, capeggiata da Gentile che era fascista, notoriamente uno dei teorici del Fascismo. Mio padre diceva “era come un grande capo tribù”, controllava il suo gregge che poi hanno dei promettenti giovani intellettuali, la maggior parte dei quali antifascisti, lui lo sapeva ed è mio padre fece molti amici, Chabod, Amodeo, c’erano molti crociani. Se Gentile fu quello che gli diede un certo senso un lavoro, il punto di riferimento teorico era diventato il liberalismo di Benedetto Croce e la cultura anglosassone. L’avvicinamento avviene a Milano. Nel ’33 Raffaele Mattioli lo chiama all’ufficio studi della Banca Commerciale. Era il luogo dove si entrava in contatto con mondo esterno, ambiente internazionale che il fascismo aveva escluso. Croce guardava molto alla cultura tedesca invece mio padre riconobbe quella inglese. Abbiamo ritrovato  nella biblioteca di mio padre la versione originale del 1936 della teoria generale con le recensioni e  i ritagli dei giornali dei libri in cui l’ambiente gravitano Ferruccio Parri e Adolfo Tino, Albasini Scrosati e gli altri personaggi rimasti un po’ più nello oscurità. Con Parri si sviluppò un rapporto, un’amicizia, una collaborazione e una grandissima amicizia, con Adolfo Tino che è un personaggio che rimase sempre dietro le quinte ma molto grande della storia e del partito nazione e anche nella formazione dell’Italia. Io ho il ricordo della camera da pranzo della casa dove vivevamo a Milano in via Mazzini 39, ho il ricordo di mio padre e Tino che scrivevano nella camera da pranzo con i mobili cheap. 

I sette punti sono il testo programmatico del partito d’azione che prevede tra le altre cose l’instaurazione della Repubblica basata sulla laicità dello Stato, la nazionalizzazione dei grandi monopoli industriali e finanziari, una radicale riforma agraria, la partecipazione degli operai agli utili dell’impresa e infine la federazione Europea. La vita di questo partito sarà però molto breve e terminerà nel corso del ’46 la componente Democratica o repubblicana rappresentata dalla Malfa e da Parri entrano nel partito repubblicano italiano. L’ala socialista confluisce nel Partito Socialista di Nenni in un crescente clima di guerra fredda, è sempre più difficile sottrarsi alla polarizzazione tra democristiani e social comunisti.

Ricordo questo congresso del partito d’azione nel ’46 al Teatro Italia, questo congresso nel quale lui uscì perché il partito d’azione si spaccò. Da un lato Russo che voleva che il partito d’azione si alleasse con il Partito Socialista che allora aveva fatto l’unità d’azione col partito comunista” e mio padre che voleva farne invece un partito liberale Democratico in una posizione diversa dal socialismo tradizionale. Però non fu così: Nenni era legato a filo doppio con togliatti, allora già si delineava la forza della Democrazia Cristiana da un lato e ovviamente Partito Comunista dall’altro. Il Partito Socialista avrebbe potuto avere un ruolo se Nenni avesse deciso diversamente. Ecco allora questo è il grande rammarico sfasciare il partito costa molto e lascia grandi lacerazioni. 

Dopo le prime esperienze ministeriali nel governo di coalizione guidato da Parri e le elezioni all’assemblea Costituente, negli anni decisivi della Ricostruzione La Malfa cresce il suo profilo internazionale. Nella seconda metà degli anni quaranta è designato a rappresentare l’Italia presso il Fondo Monetario Internazionale per poi esserne nominato vicepresidente. Assume inoltre l’incarico di ministro senza portafoglio con il compito di procedere alla riorganizzazione dell’Iri che riunisce le industrie pubbliche create sotto il fascismo. Ma è forse il ‘51 l’anno più importante come ministro del commercio con l’estero nel governo De Gasperi compie una mossa coraggiosa: fa approvare dal Parlamento l’abolizione di tutti i dazi doganali chiudendo in un colpo solo decenni di politiche protezionistiche  e autarchiche da Crispi e Mussolini. Una mossa vitale perché collega l’economia italiana a quella europea e pone le premesse al Boom economico ma è anche un’azione molto osteggiata che però riesce a difendere anche grazie all’appoggio convinto di De Gasperi.

Nel 1951 lui fece un provvedimento legislativo che riduceva progressivamente i dazi cosa che agli industriali piaceva pochissimo, perché erano vissuti nel protezionismo. De Gasperi lo sostenne in modo pieno con l’opposizione non solo dei partiti comunista e socialista ma soprattutto con l’opposizione degli industriali che ritenevano che avrebbe distrutto l’economia italiana e invece fu l’inizio del boom. Ma fu un atto di grande coraggio, fu molto apprezzato all’estero e fu fondato unilateralmente, è stato il primo paese che decide. Il ministro dell’economia tedesco in visita alla fiera di Milano nel 1952 disse a mio padre “ma che coraggio hai avuto come hai fatto”.

Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni sessanta La Malfa ha ormai consolidato il suo prestigio di leader politico con grande competenze in campo economico. Sostiene il progetto del centro-sinistra cioè l’apertura della maggioranza di governo al partito socialista italiano, diventa così ministro del bilancio con Fanfani presidente del consiglio e in questa veste lega il suo nome a uno dei documenti programmatici più importanti di questa stagione politica, la cosiddetta “nota aggiuntiva”, un vero e proprio manifesto della cultura keynesiana italiana che ambisce a governare la tumultuosa modernizzazione del paese riducendo gli squilibri sociali e territoriali e incrementando l’impegno dello Stato per il diritto di tutti alla casa, alla scuola e alla sanità. Una proposta ambiziosa che all’inizio trova il sostegno di Moro e del Psi tuttavia spaventata da una parte l’elettorato moderato della DC e gli ambienti industriali e dall’altro non trova l’appoggio dei sindacati interessati e immediati e aumenti salariali. Nel ’63 con la fine del Miracolo economico e i deludenti i risultati elettorali si consuma la sostanziale sconfitta del centro-sinistra. È un momento di grandissima delusione per la Malfa che si ritira dagli incarichi governativi per almeno un decennio.

Debbo dire lui puntava molto sul sindacati non sull’imprenditore che sapeva ostile ma sui sindacati sì ed è stato deluso. Non hanno capito o non hanno voluto hanno fatto una scelta diversa molto volgarmente meglio come oggi che la gallina domani è l’idea di mio padre era proprio quello di rinunciare oggi a qualcosa per avere qualcosa di meglio domani. Un sistema in cui strutture e i servizi fossero ammodernati. Questa era un’idea della programmazione, bisogna investire nelle infrastrutture, esigenze di lungo periodo che consentono ai giovanissimi di trovare lavoro ed educarsi. Certo la scelta dei sindacati fu una scelta invece privilegiare il diritto dei Lavoratori ai consumi cioè a migliorare il loro tenore di vita. Questa era una scelta sull’immediato. Da un lato il partito comunista era in una proposizione molto ottusa, i sindacati a rimorchio diciamo così del Partito Comunista, Nenni non capì, o non voleva capire, la Democrazia Cristiana in parte d’accordo in altra no cioè molto divisa, Fanfani era d’accordo, mio padre aveva un ottimo rapporto con Fanfani. Moro si adagiò su un centro-sinistra fatto di spesa pubblica, è cominciato lì l’indebitamento pubblico e non si è più fermato. Lo stato d’animo del paese che usciva da una condizione di miseria si può anche capire e per la prima volta i consumi, le Cinquecento, la gita al mare, la vacanza rendevano la vita certamente migliore per la classe operaia che aveva molto sofferto. Lui aveva sofferto molto di questa cosa perché veniva considerato nemico dalla classe operaia, questa era la sua linea sacrifici oggi per dare ai nostri figli domani un futuro migliore, lo metteva in cattiva luce. Era considerato un nemico della classe operaia e mio padre invece era uno che non smise mai di guardare la povertà del Mezzogiorno perché la conosceva, era venuto fuori per riscattare il mezzogiorno e il mezzogiorno si salva se noi lo colleghiamo al grande sviluppo del mondo occidentale gli italiani debbano scalare le Alpi non finire nel Mediterraneo. Questa era la sua idea ed era un’idea molto sofferta. Un anno dopo la morte di mio padre nel ‘79 quindi adottata di una trasmissione alla radio intervistarono Luciano Lama segretario CGIL e disse che La Malfa aveva ragione. Quando l era vivo non gli davano ragione, diceva “gli italiani sono avari con me”.  

L’ultima stagione politica di La Malfa si apre nel ’73 entra nel governo di centro-sinistra come ministro del tesoro e vice presidente del Consiglio dei Ministri, prima con Rumor 73-74 e poi con Moro 74-76. Sono anni difficilissimi per la crisi sociale economica e politica, l’Italia è attraversata dall’onda lunga lunga delle mobilitazioni studentesche operaie del ’68-69 e dello stragismo. Il paese è stretto tra recessioni e folate inflazionistiche che lo scuotono per tutti gli anni Settanta. La Malfa ha una ricetta per stabilizzare l’Italia ma ciò comporta il contenimento delle richieste provenienti dalla società, comporta nuovi sacrifici, comporta il controllo del crescente debito pubblico, così il livello dello scontro politico si alza. Nel ’74 l’Italia è costretta a chiedere un aiuto finanziario e su mandato di La Malfa il governatore della Banca d’Italia negozia un prestito con il Fondo Monetario Internazionale, prestito che però viene sconfessato dal ministro del bilancio Antonio Giolitti. E così La Malfa decide di dimettersi.

Si arrabbiò moltissimo. Se io mando il governatore della Banca d’Italia a trattare poi non posso sconfessarmi. La sua tesi fondamentale che bisognasse intervenire sulla pensione del debito pubblico era assolutamente non presa in considerazione per certi governi, accontentavano clientele di ogni tipo, la sinistra aveva anche interessi di sinistra la Democrazia Cristiana al pubblico impiego. Insomma spartizione del denaro pubblico in questo modo. Quando si dimise da ministro del tesoro disse “portami i bambini voglio essere fotografato alla scrivania di Sella con i bambini”, aveva questa abitudine, si dimetteva e tagliava i rapporti con i giornalisti. Venne a casa mia e la stampa disse che era fuggito con il portafogli. Gli piaceva stare qua, gli piaceva molto l’Aventino, passeggiare in questa zona. Poi venne il Governo con Moro, DC e Partito Repubblicano, Moro Presidente del consiglio La Malfa vicepresidente, e andarono d’accordo, avevano orari completamente diversi, mio padre aveva orari da operaio diciamo così, entrava alle 8:00 alle 12:00 staccava per pranzo e alle 19.30 staccava, Moro arrivava verso mezzogiorno credo che fosse un nottambulo, poi andava a messa, arrivava tardi, lui usciva e Moro entrava. Si stimavano molto ma  la morte di Moro fu un colpo durissimo per mio padre. Io insegnavo, dissi che era un Colpo di Stato e chiamai mio padre che era alla Camera dissi “papà tu devi andar via, devi scappare, devi nasconderti perché questo è un colpo di Stato” e lui mi dice “no il mio posto è qua in parlamento” e questo fece. Poi fece le dichiarazioni che poi furono accolte molto male che avevano un senso, e fece un discorso “Noi siamo i difensori dello Stato, abbiamo sacrificato Moro, la sua scorta se noi non difendiamo lo Stato chi difende lo Stato e la democrazia” e quindi ebbe questa reazione durissima, la pena di morte, se le BR dichiarano guerra allo Stato lo stato è in guerra, sono d’accordo non andava detta, e forse non era neanche giusto riconoscere alle Brigate Rosse lo status di belligerante. Io so la reazione di quei giorni durante la prigionia di Moro, camminavamo insieme in questo strade dell’Aventino e lui si tormentava “dove può essere possibile che non lo trovavano possibile che non riescono” fu terribile e con la morte di Moro finisce tutto. Anche questa costruzione del cosiddetto “compromesso storico” che era un’idea complessa non era l’idea di portare i comunisti al governo, non c’era questa idea, l’idea era di attirare il partito comunista che era già in qualche modo aveva fatto passi verso la rottura con l’Unione Sovietica coinvolgerlo nella difesa dello stato democratico e dell’economia e quindi bisognava coinvolgere una grande forza in questa azione di difesa della democrazia. Ci si è illusi e lui pensò insieme a Moro, insieme ad altri, di poter raggiungere un risultato in questo senso, Poi però era chiaro che il partito comunista non era in grado di svincolarsi completamente dalla sudditanza dall’Unione Sovietica.

Il suo ultimo compito politico viene dalle mani di Sandro Pertini che nel ‘79 lo incarica di formare un nuovo governo, è la prima volta dal ‘47 che viene assegnato un politico non democristiano. Dopo alcuni giorni però La Malfa rinuncia date le difficoltà ma sarà poi nominato vicepresidente del consiglio e ministro del bilancio nel quinto governo Andreotti. È stato un uomo che ha dedicato tutta la vita la sua passione dominante la politica al costo di non essere presente con i suoi figli come spesso accade in queste grandi figure pubbliche è con la maggiore età dei figli che rapporto si riduce.

Sì è stato un padre non presente, nella mia adolescenza mio padre non è stato mai presente credo che non sapesse niente, come andavo a scuola, sapeva che andavo bene a scuola ma insomma era molto assente. Mio padre è entrato nella mia vita a un certo punto mi acchiappò io ero già all’università mi fece entrare nell’ambiente intellettuale molto sofisticato di Elena Croce la figlia di Benedetto Croce, faceva una rivista che si chiamava “Lo spettatore italiano” e aveva un salotto, era una donna che amava i salotti letterari e lì conobbi le amicizie più importanti come Rodotà, De Mauro, Spaventa e questo mi ha formato moltissimo, era l’ambiente del “Mondo” di Pannunzio, poi lui volle costruire per sé e per noi una causa tra Anzio e vicino Lavinio nell’interno, si chiamava Colle Romito, dove stavamo facendo mio fratello con la sua famiglia e noi, amava molto i nipoti, moltissimo, e fu un bravo nonno anche se mia figlia diceva che si parlava solo del nonno. Alla fine era molto amareggiato. Non è vero fosse solo un pessimista, dicevano così ma  era un uomo che vedeva con molta chiarezza la realtà.

La Malfa è stato un politico che ha sempre avuto il coraggio di proporre le sue idee mantenendo una grandissima coerenza, pagando spesso il prezzo della sconfitta e della delusione forse perché in fondo non sempre in sintonia con le spinte della società. Il suo coraggio di denunciare le debolezze del sistema economico italiano però resta una testimonianza di vero amore alla propria missione e la sua visione dei tempi lunghi ha delle ragioni che ancora oggi possono dire qualcosa al nostro presente. 

Le figlie della Repubblica è una delle iniziative che trovate su fondazione degasperi.org, grazie al contributo di Fondazione Cariplo e al sostegno dell’Istituto Gentili, nata da un’idea di Martina Bacigalupi e realizzata da WIP Italia. È stato raccontato da me, Alessandro Banfi, ed è stato scritto e diretto da Emmanuel Exitu. Con la supervisione storica di Antonio Bonatesta e la collaborazione degli amici giovani della Fondazione De Gasperi nelle persone di Martina Bartocci, Iacopo Bulgarini, Miriana Fazzi, Federico Andrea Perinetti, Gaia Proietti, Luca Rosati, Sound Design di Valeria Cocuzza, registrazione in studio di Marco Gandolfo, per una produzione WIP Italia.


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