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29 Giugno 2021

I partiti politici nel tempo presente

Voto, Partiti Politici, Opinio Lab

di Pietro Di Grazia, Federico Micari, Marta Romano e Vanessa Wahling

Introduzione

Da quando è nato il concetto di “rappresentanza” nel senso moderno del termine, si è immediatamente affiancato quello di “crisi”, specialmente nell’esercizio di analisi dei sistemi democratici. La crisi della rappresentanza, infatti, può essere considerata come l’altra faccia della medaglia di un sistema democratico, repubblicano, dove la sovranità popolare è esercitata per lo più selezionando, appunto, i propri rappresentanti. Un modello complesso, che necessita sempre di continui studi e aggiornamenti, non identificabile come il migliore in assoluto ma, certamente, il migliore allo stato attuale in termini di compromesso tra efficienza e legittimità.

In Italia, la nascita della Repubblica ha coinciso con l’affermazione strutturale del pluralismo partitico, attorno al quale si è costituito l’asse della nostra democrazia così come l’abbiamo conosciuta. Raggruppamenti di individui, ognuno dei quali ha incarnato idealità, finalità e visioni di sistema differenti, che concorrevano all’elaborazione di un indirizzo politico complessivo del modello-paese. Un cantiere in costruzione secondo le prospettive stabilite dalla Carta costituzionale. I partiti sono stati delle piattaforme intermedie, spesso burocratizzate, che hanno identificato le istanze sociali della cittadinanza per poi sintetizzarle in Parlamento, luogo cruciale per la ricomposizione dell’interesse collettivo. “Parti” di un tutto, di una unità italiana che si ritrovava, al netto delle proprie differenze, plasticamente nelle Camere parlamentari. Non sfugge, quindi, la funzione determinante che essi hanno avuto nei processi di formazione e di filtro delle classi dirigenti. Individui che, grazie alle pesanti strutture interne da cui venivano continuamente esaminati, hanno potuto affrontare le imponenti sfide sistemiche con una cultura ancorata alle proprie tradizioni e alle esigenze della propria base. I partiti politici erano contenitori del popolo e catalizzatori dei conflitti sociali su livelli democratici. Realtà politico-culturali a confronto come rimedio alla disarticolazione sociale.

Gli effetti della crisi partitica

Tante ragioni (tra le quali si possono elencare le crisi economiche che si sono succedute, la fine delle ideologie, i fenomeni di corruzione, la ristrutturazione del capitalismo tradizionale e l’avvento massiccio del capitalismo finanziario, i fenomeni della globalizzazione non sorretti da una politica internazionale condivisa, gli indecisi processi di secolarizzazione) hanno indebolito il sistema partitocratico e aumentato un antico sentimento anti-partitico. Il risultato è stato non una sparizione, ma un cambiamento del partito nel senso novecentesco verso una trasformazione in “cacth-all party”, caratterizzato dai fenomeni della disintermediazione. Non più un rapporto intermedio con una struttura interna articolata, ma un rapporto diretto tra leader e base. Un partito liquido per una società liquida, che cambiava antropologicamente le proprie esigenze.

Alcune delle dirette conseguenze di questa metamorfosi sono state l’imperversare di fenomeni movimentisti (non necessariamente organizzati in modo spontaneo) e la mitizzazione della “società civile”, con annesse piattaforme politiche non sempre adeguatamente pronte alle difficoltà moderne.

 Con l’indebolimento dei partiti come contenitori in cui discutere, condividere e preparare una visione dell’indirizzo nazionale, si è registrato un rafforzamento di gruppi di interesse, economici e non, non più mitigati da partiti forti e radicati con cui interloquire, ma costretti a relazionarsi con soggetti nuovi, più simili a grandi comitati elettorali. A questo scenario si aggiungono le leggi elettorali che hanno favorito il proliferare delle liste bloccate, che hanno imposto una classe dirigente selezionata più dai leader che dalle strutture intermedie, aumentando il rischio di scarsa formazione del personale politico. Al contrario, i gruppi di interesse si caratterizzano per essere ben strutturati e per l’alta formazione dei propri membri, che difendono i propri obiettivi secondo un modello di “antagonismo” diverso da quello politico, che resta più classicamente conflittuale. Il conflitto sociale prevede un interesse di parte che ambisce a coincidere con quello nazionale e che, posto a confronto con altre visioni, viene mediato e sintetizzato verso una formula di governo. L’antagonismo, invece, punta alla difesa di un interesse particolare che, il più delle volte, è distante da quello collettivo.

In questo quadro, la disarticolazione partitica si manifesta come lo specchio di una frammentazione societaria ben più ampia, che incontra nei social un alleato importante. La comunicazione istantanea di internet favorisce il rapporto tra leader e base, ma non tra partito e base. Si indeboliscono ulteriormente le già fragili realtà intermedie, con la conseguenza che una leadership, ancorché forte, può perdere consenso alla prima battuta di arresto. E se il progetto politico si identifica col consenso del proprio leader, senza una struttura alle spalle, la battuta d’arresto può significare la scomparsa di tutta la prospettiva politica. Progetti che nascono e che muoiono a colpi di tweet. Non solo. L’assenza di strutture intermedie, di luoghi in cui discutere di cultura, di tradizioni, di prospettive future, di sogni e di modi con cui cambiare la propria società, indebolisce non solo l’identità del partito, ma soprattutto l’identità dei singoli, che è la prima cellula della più ampia identità collettiva.

Da dove ripartire

Se si riconosce il principio secondo cui non può esistere una democrazia rappresentativa senza dei soggetti pubblici cui delegare le proprie scelte, appare difficile immaginare la Repubblica parlamentare italiana senza partiti. Diventerebbe un esercizio accademico ai limiti dell’improponibilità. Occorre allora domandarsi che tipo di corpi intermedi sarebbe utile costruire, o ri-costruire, per gestire al meglio il rapporto tra masse e potere, tra cittadinanza e istituzioni. Che tipo di partiti, dunque.

Il punto di partenza di un soggetto che desidera contribuire alla determinazione dell’indirizzo pubblico del paese dovrebbe essere quello dell’ideale. La ricostruzione di una identità, di una speranza in base alla quale impegnarsi per il bene comune è la condizione essenziale per fare politica. O la politica ambisce al cambiamento della realtà data, o non ha senso di esistere. Il rapporto, quindi, tra cultura e politica, tra cultura e democrazia è fondamentale e prende in causa anche il ruolo degli intellettuali nel richiamo ai valori condivisi da ogni singola comunità.

L’altro elemento su cui dover intervenire è la riduzione della visione puramente plebiscitaria dei partiti. Ricucire un rapporto con gli iscritti, o con i simpatizzanti di un’area, serve a ristabilire il confronto tra i membri, a creare quindi una consapevolezza politica continua del cittadino, che può formarsi e migliorare solo dallo scambio di opinioni. Presupposto che vale sia nella dinamica interna al partito, che all’esterno con altri soggetti di estrazione diversa.

Naturalmente il recupero di luoghi di dibattito implica anche una maggiore considerazione degli iscritti stessi. A una democrazia interna partecipativa, infatti, occorre affiancare degli strumenti affinché vi siano anche alcuni elementi di democrazia deliberativa. È giusto che gli iscritti siano chiamati a dare il proprio parere su chi organizza la loro comunità interna? È giusto che siano chiamati a riflettere su alcuni argomenti di politica pubblica incidendo, nei limiti del possibile, insieme alle classi dirigenti, sulle tematiche analizzate? Valorizzare l’intelligenza collettiva non può non essere un obiettivo nell’era dell’interconnessione costante.

Una struttura partitica, quindi, meno rigida rispetto a quella conosciuta nel ‘900, ma ugualmente in grado di porsi come argine alla frammentazione sociale attraverso regole precise e percorsi di formazione permanente.

Anche il rapporto con i social deve essere posto al centro della questione. Se da un lato internet consente di arrivare a tutti e, come dimostrano le esperienze di alcuni parlamenti delle democrazie occidentali, può essere messo a servizio delle strutture politiche per avvicinare gli individui, dall’altro non può sostituirsi al presidio territoriale. Internet è e deve essere considerato come una risorsa capace di abbattere le frontiere, ma deve accompagnarsi a un lavoro di crescita di cittadini consapevoli, informati, che ambiscono a impegnarsi fisicamente nel proprio territorio. L’elemento corporeo resta imprescindibile per qualunque soggetto politico.

Conclusione

La piattaforma che in questo breve documento si immagina, dunque, prende spunto dalla migliore esperienza partitica italiana, nel tentativo di recuperare ciò che di positivo è stato seminato e di aggiornarlo alla realtà contemporanea. Un partito politico, dunque, da intendere come luogo della passione civile, organizzata e permanente, che contribuisca in modo determinante alla mediazione del bisogno come momento cruciale per la vita della società civile. Un soggetto prioritario, ma non esclusivo, nel processo di intermediazione tra cittadino e Stato. Imparare dalle proprie tradizioni, evitando di gettare “il bambino con l’acqua sporca”, consente di guardare all’avvenire con maggiore solidità nei punti di riferimento. Il passato, naturalmente, non può e non deve tornare, ma non sarebbe sbagliato immaginare un futuro dal cuore antico, pronto ad abbracciare la modernità.

Bibliografia parziale

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Urbinati N. Pochi contro molti. Il conflitto politico nel XXI secolo, Laterza, Roma


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