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21 Febbraio 2020

Green Economy: il potenziale dell’economia circolare. Parla Daniele Corsini

di Ludovica Pietrantonio

L’adozione della green economy auspica al passaggio a una società equa e prospera, capace di reagire alle sfide legate ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale migliorando la qualità della vita delle generazioni presenti e future. Al fine di valutare le potenzialità di tale sistema economico, non solo per l’economia nazionale, ma anche dell’Unione Europea, si è indagato uno dei suoi principali strumenti applicativi, rappresentato dall’economia circolare, con il Dott. Daniele Corsini, ex Direttore in Bankitalia e co-fondatore della piattaforma editoriale www.Economia&Finanza Verde.it. 

Tra gli strumenti più idonei ad attuare il modello della green economy si rinvengono meccanismi tipici dell’economia circolare che contribuiscono a modernizzare il mercato e a valorizzarne potenziali opportunità di sviluppo a livello europeo e mondiale. Quali, a suo avviso, gli obiettivi perseguibili?

Ai fini di una più completa analisi dell’economia circolare, è necessario considerare come tale concetto sia strettamente connesso a quello di green economy, da intendere come modello economico teso al soddisfacimento di aspetti attinenti al benessere sociale e alla preservazione delle risorse.L’economia circolare porta indubbiamente degli effetti benefici, sia per il governo delle risorse, mediante un loro utilizzo più razionale, sia per i cicli produttivi, avendo come effetto quello di gestire meglio le risorse produzionali attraverso il risparmio delle stesse, l’utilizzo di fonti alternative e di reingegnerizzazione dei processi produttivi, con l’obiettivo non più dello smaltimento del rifiuto, ma della sua gestione, riuso e riutilizzo nel circuito.

Da ciò si intuisce la pervasività di tale approccio poiché va a toccare tutto quello che in potenza l’uomo può produrre, ha prodotto o produrrà con l’idea che fin dalla sua progettazione il bene viene ideato non soltanto per le sue finalità (l’utilizzo da parte del consumatore), ma soprattutto dal punto di vista della sua riutilizzabilità e della sua rimessa in circolazione.

Ne deriva come questo sistema produttivo porti con sé degli aspetti di natura tecnica ed economica importanti avendo la ricerca tecnico-scientifica un ruolo fondamentale: ricerca e innovazione diventano dunque l’essenza per realizzare l’economia circolare poiché tutto è finalizzato all’obiettivo della ricircolazione. Tuttavia è necessario considerare come questo approccio si presenti per la sua innovatività più come uno scenario che come un percorso misurabile in obiettivi operativi.

 Sempre in un’ottica di implementazione dell’economia circolare, per conseguirne gli obiettivi è necessaria la piena mobilitazione dell’industria, la cui trasformazione risulta spesso troppo a rilento. Come accelerarla?

Questa è una domanda difficile poiché effettivamente dobbiamo ascoltare dei ritmi che ancora non sono soddisfacenti in questo sviluppo. Inoltre, è da tenere in considerazione come i concetti sottesi di riciclo e di utilizzo abbiano rovesciato il paradigma dell’economia tradizionale, imperante dal capitalismo della fine del settecento fino ad oggi, dettata dalla massimizzazione del profitto. Quindi in teoria è qualcosa di estremamente esteso poiché tocca il concetto dell’organizzazione della vita economica non più legata al solo parametro quantitativo, bensì bisognosa di trovare dei meccanismi di sua reinvenzione.

Concentrandosi in primo luogo sugli operatori, la velocità dipende da come è formata una struttura economica, tant’è che è necessario fare riferimento alla piccola e media impresa, segmento particolarmente diffuso e numeroso all’interno dell’economia italiana, il quale può diventare fattore di resistenza. Infatti, se per l’impresa medio grande questo approccio può avere una velocità maggiore, essendo maggiori le capacità di produzione e di progettazione, nella piccola e media impresa questa attività dovrà essere incentivata in maniera più massiccia.

Anche in riferimento all’economia digitale, strettamente connessa alla capacità di sfruttare l’informazione sulla produzione, l’Italia non è un Paese all’avanguardia e quindi tutta la spinta di Industria 4.0 di facilitare l’introduzione di sistemi digitalizzate e intelligenza artificiale rappresenta uno sforzo maggiore rispetto ad altri Paesi.

Un ulteriore elemento consente alcune riflessioni dal punto di vista finanziario, in quanto il tema della finanza verde è oggi messo particolarmente in risalto dalle banche centrali europee, le quali leggono un’economia che sfrutta in eccesso le risorse del pianeta come fattore di rischio, andando ad incidere il rapporto di finanziamento.

A livello microeconomico, è opportuno richiamare alcune recenti riflessioni del governatore della Banca d’Italia, il quale si è soffermato proprio sull’incidenza degli indicatori ambientali (emissioni CO2), sociali (percentuale di donne impiegate e ricoprenti ruoli manageriali) e di governance (presenza di donne in cda) nel guidare i singoli investimenti, comportando il favore per titoli sostenibili.

Al riguardo, ricordo come l’Italia sia stato il primo Paese ad introdurre nell’ordinamento giuridico il concetto di “società benefit”, ovvero società che inseriscono nel loro statuto i criteri appena ricordati rinunciando ad una massimizzazione del profitto con l’obiettivo di contribuire ad un’economia più sostenibile.

 Da sfida pressante a opportunità unica: qual è il ruolo dell’Unione Europea in un cambiamento che non può arrestarsi ai confini nazionali e che deve trovare riscontro nelle politiche dei singoli Stati? Di quale risorse dispone per affermarsi come leader mondiale?

L’Europa ha fatto proprio un piano di azione sull’economia circolare che punta sui concetti fondamentali di riprogettazione dei prodotti, riutilizzo e riciclo e in cui sono coinvolti diversi operatori. Al riguardo, si è assistito alla nascita di nuovi soggetti istituzionali come attori, mi riferisco alla BCE a livello europeo e alle banche centrali nazionali, i quali hanno aperto un filone rivolto al tema dell’economia circolare sensibile al degrado climatico e ambientale con politiche precise. È necessario dunque che si crei una sintesi tra i soggetti di mercato e i soggetti istituzionali.

Andando al piano del mercato e della finanza uno strumento è rappresentato dai bond verdi, pari a un valore di circa 500 miliardi a livello mondiale di cui l’Europa possiede più del 50%, rapportandosi in tal modo in maniera decisamente avanzata al riguardo. Esistono, tuttavia, altri tipi di bond legati alla sostenibilità e soprattutto legati al credito, per esempio i “sustainability bonds”, ideati per consentire credito da parte delle banche a soggetti che hanno nella propria struttura elementi di sostenibilità. Sono prodotti destinati ai agli investitori istituzionali, professionali e specializzati, non destinati al grande pubblico, poiché per questi prodotti i profili di rischio non sono ancora valutabili.

In riferimento alle politiche da adottare, l’aspetto della ricerca e dello sviluppo precedentemente sottolineato diventa fondamentale come campo di applicazione di incentivi pubblici di natura o fiscale o di contributo allo sviluppo di questa attività.

Accanto a questo aspetto del tutto rilevante, è necessario considerarne uno ulteriore di natura sociale, ovvero di considerare l’economia circolare come fonte di nuovi posti di lavoro. Essa va infatti vista come sostanzialmente labour intensive, ovvero attività ad alto impiego di lavoro materiale, differentemente dall’economia lineare in cui il progresso tecnologico è sempre stato considerato come qualcosa che spenda forza lavoro, facilmente sostituibile con macchine.

Attorno a questi concetti sono costruiti i documenti di policy oggi presenti a livello globale rappresentati non solo dal piano di azione dell’economia circolare della Commissione Europea e, conseguentemente dalle politiche nazionali, ma anche l’Agenda dell’ONU, la quale fissa gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed Economia Circolare al 2030.

La nuova strategia di crescita rappresentata dalla green economy mira a trasformare la società dotandola di un’economia moderna, efficace sotto il profilo delle risorse e competitiva. Tuttavia è necessario che la transizione verso tale modello sia non solo innovativa e a impatto zero, ma allo stesso tempo giusta e inclusiva per far sì che i cambiamenti sostanziali derivanti non comportino disuguaglianze e squilibri sociali. In che modo guidare questa innovazione verso un esito positivo?

Nei fondamenti della green economy i motori sottostanti l’adozione di questo modello e, dunque, pilastri dello stesso sono rappresentati anche dalla disparità sociale e dagli squilibri di distribuzione del reddito eccessivamente scompensante, entrambe cause di esclusione sociale.

Attraverso l’adozione del modello green economy si devono quindi ritrovare anche degli obiettivi di inclusione, i quali richiamano parte della logica sottostante le società benefit antecedentemente esaminata. Infatti, al riguardo si sostiene come i portatori di interesse (gli stakeholders) non siano soltanto quelli tradizionali, cioè gli azionisti, i fornitori, i dipendenti, ma anche i soggetti rientranti nel mondo del lavoro.

Da un punto di vista finanziario, la crisi e altri fenomeni di tali dimensioni hanno escluso al momento una fetta di cittadini dai servizi più basici. L’Unione Europea con le sue direttive è intervenuta su questo bisogno di inclusione per parificare questi soggetti da un punto di vista di diritti di base.

Dunque dal punto di vista della green economy il discorso si riflette in maggiori occasioni di lavoro e maggiore attenzione ai territori più degradati. È infatti da mettere in conto anche un probabile cambio di concezione del lavoro in cui prevarranno i lavori a distanza, attualmente già esistenti, ma esempi di nicchia.

In sostanza, la tutela ambientale rappresenta un fattore di inclusività di sfondo, da considerare come occasione preziosa di cambiamento di paradigma non soltanto a livello economico-finanziario, ma anche di natura sociale.


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