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29 Gennaio 2020

La prima Repubblica non si scorda mai: la legge elettorale proporzionale al tempo della Terza Repubblica

Di Stefano Ferace.

La corte costituzionale si è espressa. Ci sono volute oltre sei ore fitte di discussione e di confronto serrato all’interno della consulta per bocciare il referendum proposto dalla lega. Con questo no, la corte presieduta da Marta Cartabia lascia aperti i giochi per una riforma della legge elettorale basata sul proporzionale. Il cosiddetto Germanicum, prevede un sostanziale ritorno al proporzionale puro con un sbarramento al 5%, data l’introduzione del diritto di tribuna. Un escamotage, tuttavia, per far contenti tutti quei partitini che, consapevoli di non riuscire nell’impresa di raggiungere la soglia di sbarramento, trovano il modo di assicurarsi seggi in Parlamento. Il diritto di tribuna infatti, consentirebbe a schieramenti minori di avere un peso enorme nella composizione degli equilibri di maggioranza.

L’approvazione del Germanicum rappresenterebbe la fine di quell’idea di bipolarismo acclamata da tanti leader politici negli anni. Si ritornerebbe, quindi, ad un modello da prima repubblica in cui ingovernabilità ed immobilismo la farebbero da padrone. La frammentazione parlamentare  non è portatrice di stabilità e per evitare che una maggioranza relativa di voti si trasformi in una maggioranza assoluta di seggi si rischia di far tornare l’Italia a un’instabilità parlamentare che determina l’impossibilità di governare. Il male del proporzionale puro si riassume in una parola, immobilismo. Il parlamento ritornerebbe ad essere un luogo non più di riforme ma di protezione dei propri interessi, per difesa dei quali, ogni gruppo parlamentare sarebbe disposto a tutto. Non ci sarebbe quindi la possibilità di affrontare i temi che attanagliano questo paese, come il mancato sviluppo industriale, perché troppo impegnati ad esser asserragliati nella propria, piccola, corte di potere.

In questo momento l’Italia ha bisogno di una presa di coscienza da parte dei suoi politici. Non ci si può più permettere leggi elettorali diverse ogni cinque anni, serve chiarezza. Le regole del gioco politico andrebbero decise una volta per tutte, in modo da dare la possibilità a tutti gli attori di fare programmi a lungo termine. L’idea di poter cambiare ad ogni turno la legge elettorale dà ai politici la sicurezza di ritagliarsi addosso la legge perfetta che gli assicurerà un futuro mandato, senza doversi preoccupare quindi dei problemi reali del Paese. Questo meccanismo malato non si invertirà certo con un proporzionale puro ma solo con una riforma che, dal post elezioni in poi, non dia alibi al parlamento sui ruoli e sulla possibilità o meno di rispettare i programmi.

Per fare ciò, uno dei sistemi che assicurerebbe la stabilità di cui l’Italia necessita sarebbe una riforma su modello francese. Un maggioritario con doppio turno e la possibilità di formare delle coalizioni in sede di ballottaggio potrebbe consentire a tutte le fazioni politiche di essere protagoniste nella formazione dei rispettivi rassemblements. Una riforma “Francese” appare come il giusto compromesso tra le attuali aspirazioni maggioritarie del centrodestra e quelle degli altri gruppi parlamentari, che spingono per una maggiore rappresentanza.


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