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19 Settembre 2016

LE DOMANDE DA FARSI PER CAPIRE COSA E’ SUCCESSO A NEW YORK

Articolo pubblicato sull’edizione online de “Il Foglio” in data 19 Settembre 2016.

Il terrorismo ha perso grazie alla capacità delle autorità di gestire il post evento e per la mancanza di comunicazione degli autori. Qualsiasi sia la matrice, infatti, il terrorismo è innanzitutto comunicazione che, in questo caso, è stata assente.

A quindici anni dai tragici fatti del crollo delle torri gemelle, il terrorismo a New York ha perso. Ha vinto, invece, un “modo” di gestire eventi simili che contribuisca a non diffondere il terrore. Da una parte, infatti, c’è una rivendicazione che tarda ad essere diffusa, dall’altra una comunicazione ufficiale che smorza il desiderio dell’opinione pubblica di sapere immediatamente la matrice dell’atto, frenando ogni speculazione affrettata sulle ragioni e sui responsabili.

Ciò che è accaduto a New York è sicuramente etichettabile come terrorismo, ma l’averlo definito nelle prime ore successive solo come “atto intenzionale”, anche se non ne cambia la sostanza, ha fornito un modello all’interpretazione da parte della stampa e dell’opinione pubblica, non avvantaggiando i responsabili attribuendogliene la paternità.

Il terrorismo quindi ha perso grazie alla capacità delle autorità di gestire il post evento e per la mancanza di comunicazione degli autori. Qualsiasi sia la matrice, infatti, il terrorismo è innanzitutto comunicazione che, in questo caso, è stata assente. Il Daesh ci ha abituati nella maniera più emblematica a questo concetto arrivando persino a chiedere che ad ogni attacco facesse seguito una comunicazione specifica che lo differenziasse da un qualsiasi altro atto criminale, e lo potesse invece accreditare come terroristico.

Il lungo silenzio del “rivendicatore” ufficiale non è inusuale, ma il vuoto della rete sì. Solitamente, infatti, anche in assenza di un messaggio che decreti autorevolmente la paternità dell’evento, i sostenitori del Daesh sono soliti appropriarsi, anche indebitamente, di qualsiasi atto che per modus operandi e opportunità possa essere percepito come portato a termine da uno di loro. Dopo l’esplosione dell’ordigno piazzato tra la 23esima strada e la Sesta Avenue sono state pochissime le reazioni dei supporter del jihad che sono rimasti stranamente silenti.

Due sono i principali interrogativi che si sono posti in successione: perché proprio quella zona? E poi, dopo il ritrovamento di un secondo ordigno inesploso, c’era la volontà di compiere un attacco multiplo e magari simultaneo? La risposta alla prima domanda, che puntualmente accompagna ogni attentato, è il più delle volte irrilevante. Il terrorismo colpisce. Nel caso di attacchi di questo tipo il “dove” è spesso dettato unicamente dall’opportunità. La casualità dei target, non necessariamente simbolici ma quotidiani, è ciò che rende la manaccia più difficilmente riducibile.

Solo le indagini potranno fare luce invece sulla questione che riguarda il possibile coordinamento alla base della premeditazione dell’attacco, rivelando così forse anche dettagli su chi ne è responsabile. Da un lato, infatti, è necessario capirne la matrice. Nonostante l’immagine della pentola a pressione abbia rievocato la maratona di Boston, e quindi abbia contribuito ad identificare l’atto con un certo tipo di terrorismo, non è da sottovalutare la crescente “moda” di appropriarsi dei modus operandi del terrorismo che più attrae i media, da parte di chi cerca una vetrina per i propri atti criminali.

Dall’altro ciò che è accaduto porta altrettanti spunti di riflessione. Se l’intenzione era di far esplodere entrambi i dispositivi, l’attacco multiplo che si sarebbe verificato avrebbe presumibilmente richiesto un certo grado di pianificazione, non necessaria invece per la maggior parte delle tipologie di attacchi che possono essere portati a termine da lupi solitari. Se, invece, ciò che si è verificato è quello che era stato previsto, c’è da chiedersi perché il secondo ordigno non sia esploso. L’incapacità di chi ha assemblato artigianalmente la bomba potrebbe essere una spiegazione. Di fatto la stessa cosa era accaduta poche ore prima in New Jersey, dove due tubi esplosivi posti lungo il percorso di una maratona di beneficenza non hanno funzionato. Resta il fatto però che il terrorismo viva spesso più di minaccia che di fatti. L’aver dimostrato che potenzialmente, anche e ancora in territorio americano, il terrorismo può colpire simultaneamente in luoghi diversi potrebbe essere stato l’unico scopo della pentola a pressione lasciata sulla 27esima strada. L’analisi di ciò che è accaduto a New York non può che partire dopo che verrà data risposta a questi interrogativi.

Alessandro Burato


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