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24 Ottobre 2016

L’AMICIZIA E’ RARA PERCHE’ E’ SCOMODA

La svolta – Rodrigo Duterte, Presidente della Repubblica delle Filippine, ha comunicato da poche ore una decisione in qualche modo storica. In visita di Stato in Cina ha colto l’occasione per annunciare le distanze che intende prendere dallo storico alleato delle Filippine: nientemeno che gli Stati Uniti.

L’occasione – L’opportunità si è presentata la sera del 19 ottobre. Duterte ha incontrato la comunità filippina di Pechino e, sotto gli occhi del vice-premier cinese Zhang Gaoli, ha dichiarato: “È ora di dire addio agli Stati Uniti. Forse andrò anche in Russia a dire a Putin che siamo in tre contro il mondo: Cina, Filippine, Russia”.

Duterte non ha affatto inteso smentirsi il giorno dopo o fare qualche in passo indietro. L’occasione era ghiotta dal momento che il 20 ottobre si riuniva il China-Philippines Economic and Trade Forum: il presidente cinese Xi Jinping e Duterte hanno siglato accordi bilaterali per 13,5 miliardi di dollari. 

L’inversione di rotta – In questa vicenda c’è da fare una distinzione tra due tipi di rotte: quella marittima e quella diplomatica.

La rotta marittima è quella del Mar Cinese Meridionale, una rotta con una storia molto tormentata. La Cina nei mesi scorsi aveva infatti rivendicato alcune isole (in particolare l’arcipelago delle isole Spratly, le cui acque sono ricche di giacimenti petroliferi), ma l’ex Presidente delle Filippine Benigno Aquino aveva osato sfidare la potenza cinese e lo aveva fatto davanti alla Corte Arbitrale dell’Aja. Quest’ultima solo qualche mese fa aveva rigettato le pretese della Cina, dando ragione alle Filippine.

Da allora le relazioni tra i due paesi sono state praticamente inesistenti. Ed è qui che si inserisce la seconda rotta, quella diplomatica. Duterte infatti, di fronte alla possibilità di investimenti concreti, ha invertito la tendenza del suo predecessore Aquino e ha voltato le spalle ad Obama, che aveva sostenuto le Filippine nella contesa con la Cina in un’ottica di contenimento dell’ascesa cinese tra le potenze mondiali.

TRIAD CONNECTION. President Rodrigo R. Duterte shows a copy of a diagram showing the connection of high level drug syndicates operating in the country during a press conference at Malacañang on July 7, 2016. KING RODRIGUEZ/Presidential Photographers Division

Un rapporto tormentato – Per sottolineare ulteriormente cosa significa – per un paese come le Filippine – voltare le spalle agli Stati Uniti, conviene fare qualche passo indietro.

Nel 1898, in seguito alla guerra ispano-americana, gli Stati Uniti evadano assunto formalmente il controllo delle Filippine e solo un anno dopo le tensioni crescenti avevano portato alla guerra filippino-americana, alla quale sarebbe succeduto il dominio americano sulle isole fino al 1946. Il 4 luglio di quell’anno (curiosamente la stessa data dell’Indipendenza americana) si aprì una nuova fase: venne concessa l’autonomia, anche se solo formalmente visto che l’economia delle Filippine era forse ancora più dipendente di prima da quella americana. Per tutta la seconda metà del novecento gli Stati Uniti hanno continuato ad esercitare in parte il loro controllo sulle Filippine (dall’epoca di Marcos fino ad arrivare a quella di Corazon Aquino).

Duterte ha ereditato un paese che in proiezione fa registrare il PIL annuo in crescita del 7% e questi accordi bilaterali erano probabilmente un’occasione che non poteva farsi sfuggire in nessun modo. 

Lo strappo con Washington – La politica di contenimento cinese del secondo mandato Obama passava anche dalle Filippine. La “pax pacifica” era garantita proprio da queste isole e le cinque basi americane sul suo suolo testimoniavano la volontà di costituire l’ultimo baluardo contro il Dragone. 

In queste ore il Presidente delle Filippine sta leggermente mitigando le sue forti dichiarazioni contro Washington, ma alla Grande Sala del Popolo Duterte sembrava deciso a cambiare la storia: “Basta con le ingerenze degli Stati Uniti. Basta con le esercitazioni americane. Non metterò mai più piede negli Stati Uniti, lì sanno solo insultarci. L’America ha perso”.

Simone Stellato


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