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26 Luglio 2016

ULTIMA CHIAMATA PER IL VECCHIO CONTINENTE

La ripetizione del ballottaggio presidenziale in Austria e il referendum sulla ripartizione dei profughi in Ungheria rappresentano un banco di prova decisivo per il futuro dell’Unione Europea. Ma da Bruxelles non sembrano poi così preoccupati, forse ancora troppo presi dalla ‘’Brexit’’.

Il terremoto provocato dall’esito, quanto mai inaspettato, del referendum sulla Brexit ci consegna uno scenario politico europeo a dir poco drammatico. Come amava ripetere Ortega y Gasset, quasi un secolo fa, l’Europa è ancora la soluzione? C’è tempo per salvare il progetto federalista europeo, oppure siamo arrivati alle battute finali di questo miracolo incompiuto? I catastrofisti fiutano il possibile e imminente crollo dell’unità politica europea; chi invece si considera tuttora sostenitore del progetto di integrazione dei paesi del vecchio Continente, il più delle volte liquida le forze anti-europeiste, ritenendole genericamente populiste. Il tempo a disposizione per un cambio di rotta è ormai scaduto: il 2 Ottobre in Austria si ripeterà il ballottaggio per le elezioni presidenziali tra il candidato nazionalista del Partito della Libertà Hofer e l’anonimo e indecifrabile candidato dei Verdi Alexander Van der Bellen; nello stesso giorno in Ungheria avrà luogo il referendum sul ricollocamento obbligatorio dei profughi e in questo modo i cittadini magiari potranno esprimersi direttamente sulla linea politica sostenuta da Bruxelles.

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Il rischio concreto è lo sgretolamento dell’Unione Europea, e la causa principale è la paura degli immigrati che stanno invadendo gli stati della ‘’Mitteleuropa’’: se dovesse passare la “linea del no” in Ungheria e Hofer vincesse le presidenziali in Austria, sarebbe una sconfitta su tutti i fronti per Bruxelles. Se il populismo, incarnato in questi due casi da Norbert Hofer e Viktor Orban, non è una soluzione politica praticabile, lo si deve almeno accettare come sintomo palese di un malessere collettivo che si continua evidentemente a sottovalutare. Gridare al lupo populista serve soltanto a spingere elettori delusi e disaffezionati dai partiti tradizionali nelle braccia dei movimenti anti-sistema.

In Ungheria Viktor Orbàn, leader del partito Fidesz-Unione civica ungherese, è il padrone assoluto dal 2010 della scena politica: fautore di una linea di governo sempre più marcatamente nazionalista ed isolazionista, contraria quindi ad ogni forma di integrazione dei profughi provenienti dal Medio-Oriente, non mostra alcun timore reverenziale nei confronti di Bruxelles. Ormai Orbàn gode di un consenso quasi assoluto nel proprio paese, quindi il referendum di Ottobre appare come una vera e propria investitura plebiscitaria di quest’ultimo, per sferrare il colpo decisivo ad una UE inerme e paralizzata. D’altro canto, in Austria la situazione risulta ancora più “tragicomica”: la vittoria di strettissima misura di Van der Bellen al ballottaggio contro un outsider come Hofer è stata annullata con una sentenza della Corte Costituzionale austriaca, per le molte irregolarità riscontrate nello scrutinio dei voti per corrispondenza. Tutto ciò gioca a favore di Norbert Hofer, che si appresta a vincere piuttosto facilmente la ripetizione del ballottaggio. A nulla servirà lo sforzo dei partiti tradizionali (Partito Popolare austriaco e Partito Socialdemocratico d’Austria) di sostenere il più pacato Van der Bellen: Hofer ha infatti conquistato l’endorsement del popolo austriaco, stanco della mancanza di leadership della classe politica tradizionale. Gli eventi in Austria e in Ungheria rappresentano un “aut aut” per l’Europa intera. Il populismo si è insediato come attore protagonista all’interno dei nostri sistemi democratici. Ignorare questo dato concreto, rappresenterebbe il seppuku europeo.

Gianmarco Sperelli


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