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5 Luglio 2016

NEL REGIME DI AL SISI NON C’E’ SPAZIO PER I DIRITTI UMANI

È di pochi giorni fa la notizia della condanna a 40 anni di carcere dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi. Per la precisione di 25 anni (coincidenti, in Egitto, con l’ergastolo) per essere il capo di un’associazione terroristica (il partito dei Fratelli Musulmani, messo fuori legge nel 2013 con la rivoluzione militare) ed altri 15 per aver rubato documenti segreti per la sicurezza di Stato.

La notizia non ha fatto breccia, come tante altre, sull’opinione pubblica occidentale. Si tratta infatti dell’ennesima prova, se ancora di prove ci fosse bisogno, del vuoto che ha lasciato la primavera araba in Egitto, dove la democrazia non ha mai trovato terreno dai tempi della decolonizzazione. A dire il vero Morsi era stato il primo presidente eletto con libere elezioni, rovesciato da un colpo di stato militare che ha portato il generale Al Sisi al potere nel luglio di tre anni fa. La condanna all’ergastolo è solo l’ultima di una serie: sul capo di Morsi pendeva già, tra le altre, una condanna a morte, poi rovesciata in appello.

La continua violazione dei diritti umani da parte dell’Egitto ha drammaticamente occupato le prime pagine dei giornali in questi ultimi mesi. Il caso del povero Giulio Regeni, ricercatore italiano trovato ucciso il 3 febbraio dopo aver subito torture di ogni genere nella periferia del Cairo, ha posto davanti agli occhi dell’opinione pubblica la vera faccia del regime di Al Sisi. Migliaia di sparizioni forzate e di condanne a morte ogni anno, la connivenza nei confronti dei trafficanti di migranti, i reiterati crimini commessi dalle forze di polizia sulla popolazione civile e la continua censura dei media sono solo alcuni tasselli di un puzzle che non può più essere ignorato. Qualora venisse accertata la responsabilità dell’Egitto per l’assassinio di Giulio Regeni risulterebbero evidenti le gravi violazioni di norme internazionali e dei diritti umani. Tra queste la più odiosa ed ignobile di tutte: il crimine di tortura. Dal 2001 il Comitato Internazionale contro la Tortura, nato dalla Convenzione ONU del 1984, non riceve più rapporti dall’Egitto, così come il Comitato sui diritti umani. Le continue richieste da parte di organi internazionali di inviare osservatori nel paese sono tutt’oggi senza risposta. E lontano ancora dall’essere risolto rimane il caso Regeni. Ad oggi l’unica consolazione, dal valore simbolico, è la risoluzione di marzo del Parlamento Europeo, che il 15 giugno ha voluto ascoltare in aula i due genitori della vittima.

Президент_Республики_Египет_Абдельфаттах_Сиси

Il rapporto dell’ufficio di presidenza dell’Assemblea parlamentare della NATO sulla visita al Cairo di inizio aprile dipinge un paese dalle mille contraddizioni, legato da più fila al mondo occidentale e al tempo stesso pedina strategica per gli equilibri in medio oriente. Oggi l’Egitto partecipa indirettamente alla coalizione anti-ISIS in Siria ed in Iraq, fornendo supporto militare e logistico. Trova nell’Arabia Saudita e negli Emirati Arabi uniti i suoi alleati di primo piano, che con la conclusione recente di un enorme piano di cooperazione economica gli forniscono aiuti per oltre 50 miliardi di dollari. Il più grave pericolo a cui gli egiziani devono far fronte è quello del terrorismo di matrice islamica. Diverse sono infatti le minacce provenienti dal Califfato Nero che toccano in prima persona lo stato egiziano. In particolare la soluzione della crisi libica è di assoluta priorità: Al Sisi si è reso disponibile ad appoggiare un governo di unità nazionale insieme all’Italia, riconoscendo fin da subito Tobruk come unico esecutivo legittimo del paese.

L’Italia d’altra parte si presenta come il primo partner egiziano del Vecchio Continente, leader in particolare nel settore energetico grazie ad una presenza radicata da anni di EDISON ed ENI. La scoperta, da parte di quest’ultima, di un immenso giacimento di gas sulle coste egiziane apre a nuovi scenari, con l’Egitto che potrebbe ridurre notevolmente la dipendenza estera nel settore energetico.

Il caso di Giulio Regeni ha però notevolmente incrinato i rapporti diplomatici tra i due paesi, mettendo a rischio la cooperazione economica. In un’intervista a Mario Calabresi per “La Stampa” Al Sisi si è detto sincero amico degli italiani ed ha promesso l’impegno del team investigativo egiziano per assicurare alla giustizia i colpevoli. Ma la notizia della condanna a vita dell’ex presidente e il quadro del rispetto dei diritti umani che emerge dall’Egitto, così come la netta dipendenza degli organi giudiziari dall’esecutivo e i continui depistaggi per nascondere la verità e intralciare il lavoro della procura di Roma dimostrano che il caso del ricercatore friulano non è isolato e non lasciano sperare in una collaborazione utile.

Francesco Bechis


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