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22 Giugno 2016

L’AMICO RITROVATO? PROVE D’INTESA TRA USA E ARABIA SAUDITA DOPO IL GRANDE GELO

La scorsa settimana è stata un misto di emozioni positive e negative che hanno tenuto molto impegnata la stampa italiana. È stato un viavai di notizie che meritavano attenzione, ma che hanno fatto passare inosservato un evento che – per le dinamiche della politica internazionale – può significare molto.

È stata, infatti, la settimana del viaggio negli Stati Uniti del Principe Mohammed bin Salman al-Saud, ossia l’uomo che, de facto nel presente e de jure in un futuro prossimo, guida uno degli stati più importanti nel panorama politico mondiale, l’Arabia Saudita. Visita che cade in un momento delicato: se è vero che USA e AS sono storici alleati, è pur vero che il rapporto si è incrinato negli ultimi anni, rischiando di compromettere il già precario equilibrio mediorientale.

Casus belli, metaforicamente parlando, è la strategia americana che punta a disimpegnarsi dal ginepraio mediorientale, avendo Obama ridefinito il pivot della politica estera statunitense nel Pacifico, ponte di collegamento con il vero mondo che – con la sua vertiginosa ascesa – minaccia la leadership degli USA, ossia la Cina; disimpegno reso possibile soprattutto dagli sviluppi tecnologici in tema di shale gas, che hanno permesso agli USA di non dover più dipendere dal petrolio mediorientale. Il che significa inevitabilmente un abbandono dell’annoso (e mediaticamente fortemente dispendioso) coinvolgimento in Medio Oriente, lasciando scoperte le potenze alleate (in primis proprio l’Arabia Saudita) che vedono così le rivali avvantaggiate, in particolare l’Iran (peraltro spalleggiato dalla Russia).

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il raggiungimento dell’accordo nucleare tra USA e – quasi fosse una beffa – proprio l’Iran, che è così uscito dall’isolamento internazionale in cui era relegato: questo fatto ne ha sancito il ritorno sulla scena politica, ed ha inferto un ulteriore duro colpo all’Arabia Saudita. Quest’ultima si è ritrovata improvvisamente a dover contare esclusivamente sulle proprie forze, come dimostra l’intervento militare in Yemen. A questo, si aggiungono diversi scenari minori – le cosiddette proxy wars – in cui si propaga la rivalità saudita-iraniana: basti pensare alla Siria, dove l’Iran (con la Russia) sostiene Assad, mentre l’Arabia Saudita finanzia i ribelli al regime.

Insomma, l’Arabia Saudita si è quasi sentita tradita dagli USA, a maggior ragione per il grave danno economico subito in seguito all’accordo nucleare: l’Iran, riabilitato a commerciare petrolio, ha subito iniziato una guerra economica che ha inferto gravissimi danni all’economia saudita.

Ebbene, il rischio di un relegamento politico-economico per l’Arabia ha imposto alla famiglia reale un cambio di passo, soprattutto nella riorganizzazione dell’economia del paese: proprio Mohammed si è imposto come promotore di un progetto, Vision 2030, che mira a rendere indipendente la Monarchia dal mercato petrolifero, obiettivo raggiungibile mediante una diversificazione dell’economia e un massiccio investimento finanziario in quote di società ad alto sviluppo.

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È proprio questa la motivazione ufficiale della visita negli USA: il Principe, infatti, ha visitato la Silicon Valley, patria indiscussa delle società ad alto rendimento, nonché Wall Street, centro della finanza mondiale.

Tuttavia, la mera motivazione economica appare insufficiente, tanto più se si evidenzia che il Principe ha incontrato, nella mattinata di venerdì, il Presidente Obama alla Casa Bianca. Un incontro passato sotto silenzio, e di cui la stessa comunicazione governativa offre (senza particolare pubblicità) uno stringato e asettico comunicato che parla di “opportunità per discutere questioni di reciproca preoccupazione”. Ovviamente “closed press”.

Varie le tematiche sul piatto: da ISIS, alla Siria, passando per l’Iran e Vision 2030. Piccoli pezzi di un puzzle più grande, la cui sana (o meno) composizione influenzerà non solo gli interessi degli attori coinvolti in prima persona nella regione mediorientale, ma anche di coloro che ne vivono ai margini, Unione Europea in primis. Di certo, gli sviluppi dei prossimi mesi – se letti alla luce di questo importante viaggio – renderanno chiaro cosa ci aspetta.

Giovanni Gazzoli


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